DISTURBI MENTALI COVID CORRELATI TRA VULNERABILITÀ E RESILIENZA

Dr. Noemi Sanna
Medico Psichiatra, gia ricercatrice di Neuroscienze presso università di Sassari


Hanno cercato di seppellirmi,
ma non sapevano che io sono un seme
(proverbio messicano)


A circa 14 mesi dall’inizio della pandemia Covid 19 i dati OMS attestano circa 160 Ml di casi confermati e oltre 3,45 Ml di decessi. Il Covid-19 è una sindrome virale caratterizzata da sintomi simil-influenzali di gravità variabile che possono anche essere letali. Come per molti virus non esistono farmaci che lo possano sconfiggere. Occorrerà aspettare l’immunità diffusa che si potrà ottenere con la vaccinazione di non meno del 80% della popolazione.

Diffusione del fenomeno e misure di contenimento

Il SARS-CoV-2 è un virus dal tasso di contagiosità molto elevato, diffusosi nel mondo intero nel giro di poche settimane i cui risvolti patologici hanno comportato un sovraccarico eccezionale delle strutture sanitarie messe fortemente in crisi fino, in alcuni casi, al collasso.

L’entità del fenomeno pandemico ha imposto l’adozione di rigorose misure di tutela sanitaria che hanno comportato forti limitazioni nella vita sociale. Secondo una ricerca di Altroconsumo (2020), riferita al solo territorio italiano, il 97% della popolazione ha modificato le sue abitudini quotidiane, il 76% ha subito un impatto negativo sulla sua vita sociale, l’82% una compromissione economica.

Resteranno nella memoria di tutti i lunghi mesi di segregazione in casa e la disaggregazione delle famiglie non conviventi, la interruzione dei rapporti sociali e dei corsi scolastici di ogni ordine e grado, la sospensione di ogni attività che non fosse di primaria importanza. Le frontiere sono state chiuse per mesi (anche tra territori dello stesso stato). L’accesso alle cure ordinarie e straordinarie (non Covid) è stato limitato, in alcuni casi sospeso, con un danno alla salute pubblica ancora non del tutto computabile, ma che sarà un problema sicuramente emergente tra qualche tempo.

Le sequele dopo la guarigione

I tempi non sono ancora sufficienti per una indagine approfondita sulle sequele nei pazienti sopravvissuti alla infezione. Alcune prime evidenze suggeriscono che nel 30% dei casi con gravi patologie a carico dei polmoni permangono disturbi della funzionalità polmonare. Sono segnalate sequele sul sistema cardio circolatorio e vascolare, disfunzioni renali e diabete. Si riscontra aggravamento di disturbi neurologici cronici preesistenti come morbo di Parkinson o altre malattie degenerative, nonché possibili accelerazioni nella evoluzione della malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza. Diverse evidenze indicano ridotte performance a carico del linguaggio e delle capacità di attenzione e concentrazione.

Per quanto concerne l’ambito psichiatrico alcuni studi precoci hanno messo in luce un impatto negativo sulla salute mentale con deciso incremento delle patologie psichiatriche e dell’uso di psicofarmaci. Si tratta di sintomi psicologici, clinicamente significativi, in rapporto di correlazione con il SARS-CcV-2 non tanto per uno specifico meccanismo patogenetico del virus, quanto perché la pandemia rappresenta un fattore di stress di grande portata.

Lo stress da pandemia

Lo stress è un fenomeno molto diffuso in natura e consiste in una reazione di adattamento dell’organismo a sollecitazioni e stimoli (fattori di stress) che minacciano di perturbarne l’equilibrio. I fattori di stress, quindi, per essere tali, devono essere percepiti dall’organismo come minaccia. Tutto ciò che ci rende vulnerabili rappresenta una minaccia. Lo stress non è uno stato, ma un processo, e non necessariamente un processo patologico. La sua funzione è quella di meccanismo adattativo, fisiologico e limitato nel tempo. È un sistema molto potente al servizio dell’istinto di sopravvivenza. Le risposte di adattamento non dipendono dalla natura del fattore di stress, ma dalla necessità di mettersi in salvo di fronte ad un pericolo, qualunque esso sia. E questo è valido per ogni specie vivente. I meccanismi di adattamento, perché siano efficaci, non possono essere troppo intensi o perdurare troppo a lungo. La loro sovra stimolazione è sempre causa di disfunzioni e patologie. Molte malattie, anche non inerenti alla sfera psichica, sono riconosciute in relazione patogenetica a sollecitazioni prolungate del sistema dello stress.

La pandemia rappresenta una condizione di stress elevata e del tutto nuova rispetto ai parametri già noti in tema di disturbo post traumatico da stress cui la clinica e la ricerca scientifica ci avevano abituato. Si è trattato di uno sconvolgimento che ha investito contemporaneamente l’individuo e la comunità. Persistente, pervasivo e perturbante, con picchi di acuzie alternati a stimoli subacuti e cronici. Da oltre un anno viviamo un costante senso di paura legato alla possibilità di contrarre una malattia ancora poco conosciuta ma temibile per la sua alta contagiosità e per il gran numero di decessi che ha causato. Non sarà facile dimenticare i tanti morti tra i più indifesi: anziani e chi è reso fragile da malattie concomitanti, o tra i sanitari deceduti per aver contratto il virus mentre tentavano di difendere altre vite dalla sua letalità. Al momento in Italia si registrano 360 decessi tra i medici e 80 tra gli infermieri a causa del virus. Non si è trattato solo di timori concreti per la propria salute. Anche paure più profonde ed arcaiche, legate al senso della vita e della morte, sono state riattivate e riportate alla coscienza procurandoci profondi stati di angoscia e di incertezza.

La combinazione di tanti fattori di stress differenti e perduranti nel tempo, il senso di ineluttabilità cui si accompagnano, può determinare effetti disfunzionali, persino trans generazionali, sulla salute e sul funzionamento fisico e mentale, che potrebbero rappresentare, da qui a qualche tempo, la dimensione più precaria e ancora poco quantificabile della salute pubblica nel suo complesso.

Impatto sulle patologie psichiatriche esistenti

Lo stress da pandemia ha certamente esacerbato condizioni patologiche preesistenti come depressione, disturbi dell’ansia, turbe del sonno e tutto l’articolato corredo dei sintomi da stress post traumatico. Alcuni pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo, ipocondria e ideazione paranoide, hanno mostrato maggiore vulnerabilità in quanto alcune loro paure patologiche, per esempio quella tipica di “subire una qualche contaminazione della propria integrità” sono state rese verosimili dal fatto di essere state condivise dalla umanità intera.

Questo incremento di patologia psichiatrica non ha trovato una adeguata risposta assistenziale. Come denuncia un recente studio della Società Italiana di Psichiatria, infatti, tutte le attività di assistenza hanno registrato una significativa riduzione. La interruzione del continuum terapeutico ha interferito negativamente sulla adesione ai trattamenti con aumentato rischio di ricadute. Le visite di controllo, sono strumento di buona pratica clinica indispensabile per la sorveglianza delle malattie nella loro evoluzione e nella taratura della terapia. Per i pazienti psichiatrici, in particolare, rappresentano anche un suggestivo momento di socializzazione. Spesso una delle rare occasioni, se non la sola, in cui il paziente intraprende una relazione interpersonale significativa. La sospensione di queste pratiche può avere legittimamente comportato un impoverimento della dimensione esistenziale dei pazienti con effetti perniciosi sulla evoluzione della loro specifica patologia psichica.

In alcuni casi sono stati osservati, limitatamente al periodo iniziale della pandemia, inspiegabili e paradossali miglioramenti del quadro sintomatologico. Il fenomeno, almeno in parte, potrebbe essere chiarito alla luce del funzionamento del sistema stress. Nelle prime fasi il sistema di adattamento da stress ha attivato tutte le risorse possibili, compreso il circuito della ricompensa che ha reso persino accettabili le pesanti limitazioni imposte dalle misure sanitarie. Fatto che, di per sé, potrebbe avere sortito effetti benefici sulla sintomatologia psichica. Secondo un’altra suggestiva ipotesi la parziale remissione della sintomatologia sarebbe legata al fatto che il senso di estraneità dal mondo che questi pazienti, immersi nelle loro indecifrabili paure, vivono quotidianamente, sarebbe stato in parte sfumato dall’aver scoperto che anche gli altri, i non malati, conoscono l’angoscia. Il bagaglio di paura dell’ignoto che la pandemia ha diffuso nella popolazione generale, somiglia terribilmente alle paure e alle angosce che percepiscono abitualmente i pazienti psicotici. Il sentimento di essere parte di un mondo, sia pure attraverso la condivisione di angosce psicotiche, può aver contribuito ad alleviare il loro senso di solitudine contribuendo ad attenuare la gravità dei sintomi della malattia.

Dinamiche sulla insorgenza di sintomi psichiatrici nella popolazione generale

Nei primi tempi della pandemia il nostro sistema stress è stato efficace rispetto ai bisogni di protezione e di difesa. Per quanto disorientati e confusi, tutti abbiamo aderito alle indicazioni della autorità sanitaria, anche le più stringenti e limitative della libertà, con consapevolezza, speranza e fiducia. Grazie allo sforzo collettivo la pandemia sarebbe stata sconfitta ed era netta la convinzione che il sacrificio di ciascuno avrebbe portato vantaggi per tutti. Si è creato un sentimento di solidarietà diffusa come se, all’improvviso, avessimo riscoperto i valori di una fratellanza perduta. Ricordiamo le bandiere della pace esposte alle finestre o i canti di gruppo fatti al balcone, gli slogan ottimistici del andrà tutto bene o gli applausi scroscianti dedicati ai sanitari che affrontavano in prima linea questa grande tragedia. Il meccanismo di adattamento allo stress funzionava efficacemente.

Il permanere dei fattori di stress, tuttavia, la conseguente cronicizzazione delle reazioni di adattamento e il loro esaurimento disfunzionale hanno favorito l’insorgenza, anche nella popolazione generale, di disturbi stress-correlati, stati d’ansia con crisi di panico, insonnia, turbe della concentrazione, abuso di sostanze ed alcol, disturbi depressivi fino a casi drammatici di suicidio.

A tutto ciò si devono aggiungere pervasivi sentimenti di incertezza rispetto al futuro legati alla precarietà della contingenza economica e al rischio di non riuscire a conservare la attività lavorativa. Perdere il lavoro non è solo un problema economico, significa anche avere ripercussioni sul proprio senso di identità e sull’immagine che nel corso della vita si è costruita di sé. Noi siamo, in gran parte, anche quello che facciamo. A fine pandemia in molti non saranno riusciti a conservare la loro fonte di reddito e ciò rappresenterà una piaga sociale, oltre che sanitaria. Tanti uomini e donne saranno resi più fragili e troveranno difficoltà a ricostruire una vita dignitosa sul piano sociale e che abbia ancora un significato sul piano personale.

Poiché, nonostante i sacrifici affrontati da tutta la popolazione, le condizioni di allarme sanitario sono rimaste a lungo immodificate il distress si è ulteriormente aggravato sfociando in una forma di affaticamento da pandemia. Ai sintomi stress-correlati si sono aggiunti demotivazione, scoramento, scetticismo, abbassamento della tolleranza alla frustrazione. Il risultato sono gli atteggiamenti oppositivi e di ribellione alle regole cui stiamo assistendo che portano alcuni ad una interpretazione quasi paranoica della realtà fino alla negazione del pericolo e della esistenza stessa del virus. Il pericolo perde il suo significato di eccezionalità, viene normalizzato, si abbassano le difese e ci si protegge meno. I costi per mantenere le condotte adattative sono avvertiti come sproporzionati rispetto al pericolo percepito. Si tratta di una forma di abitudine che ha il suo corrispettivo, a livello neurologico, nel fenomeno della abituazione consistente in una diminuzione di intensità e frequenza di attività della cellula nervosa a seguito di stimolazione reiterata e continua.

La convivenza forzata e l’incremento della violenza domestica

Nonostante la pandemia abbia fatto registrare una iniziale diminuzione delle richieste di aiuto, in realtà le violenze domestiche sono continuate e, perfino aumentate. Mentre le città sono bloccate per fermare la diffusione della pandemia e gli sforzi di massa sono focalizzati a salvare vite umane, alcuni individui sono stati esposti a maggior rischio di fenomeni violenti intra familiari. I dati ad oggi registrano incrementi in tutto il mondo (Brasile: +30%, Catalogna: +20%; Stati Uniti: +20%).

Studi scientifici riferiscono che la convivenza forzata e la mancanza di spazi di intimità personale in aggiunta alla perdita di libertà, la paura della infezione e della morte, soprattutto se vissute in un contesto di precarietà economica e di incertezza sul mantenimento del lavoro, possano essere alla base di dinamiche psicologiche in grado di scatenare comportamenti aggressivi e violenti all’interno delle relazioni familiari. Per quanto concerne il nostro paese a fine 2020 si è registrato un aumento di circa l’80% delle chiamate al numero di pubblica utilità messo a disposizione dal governo per segnalare gli episodi di violenza domestica.

La violenza domestica investe anche i figli, sia direttamente perché oggetto essi stessi di abuso, che indirettamente perché esposti come spettatori alla violenza della coppia parentale. Si parla in questi casi di violenza assistita che consiste nello sperimentare, da parte del minore come fosse diretta a sé, ogni forma di maltrattamento compiuto sulle figure adulte di riferimento.

L’impatto della pandemia sulle fasce più fragili della popolazione

L’impatto della pandemia da Covid 19 non è lo stesso per tutta la popolazione. Esistono ambiti in cui, per una serie di ragioni legate all’età, a malattie preesistenti, allo status sociale ed economico, a fattori culturali, geografici e geopolitici, è presente maggiore fragilità, sia per i danni direttamente correlati alla infezione, sia in ragione delle conseguenze sul piano psichico e psichiatrico.

Malati cronici e disabilità

In seguito alla pandemia sono state sospese oltre il 40% delle normali attività ospedaliere. I ricoveri per patologie non Covid, gli interventi chirurgici, gli accertamenti ambulatoriali di controllo hanno subito, tutti indistintamente, una drastica riduzione che ha comportato, di fatto, trascuratezza dei malati lasciati soli in balia dei loro sintomi.

Per avere una idea della entità del fenomeno ricordiamo che in Italia sono 230mila i pazienti oncologici ed ematologici in trattamento attivo con chemioterapia o immunoterapia e circa 162mila con scompenso cardiaco in fasi avanzate, con trapianto di cuore o post-shock cardiogeno. Malgrado la serietà delle patologie sopra descritte sono venuti meno i controlli clinici sia relativi alla insorgenza della patologia che alla sua evoluzione. Da rilevare che se contraggono il virus, il tasso di mortalità si aggira intorno al 25% per i pazienti oncologici, al 37% per gli ematologici, fino al 50% per chi ha subito un trapianto cardiaco, percentuali nettamente superiori rispetto alla popolazione generale.

Analoghe considerazioni devono essere fatte per tutto l’ambito delle sindromi sia mediche che chirurgiche. Tutte le patologie croniche o emergenziali, i pazienti in attesa di trapianto o trapiantati, i pazienti affetti da malattie auto immuni, i portatori di disabilità fisica, intellettiva e sensoriale.

Anziani

La popolazione anziana ha mostrato di contrarre l’infezione in forma clinica più grave pagando un tributo molto elevato in termini di mortalità. Più del 95% dei decessi ha interessato soggetti di età superiore ai 60 anni e nel 50% dei casi l’età era uguale o superiore agli 80.

Gli anziani sono stati fortemente danneggiati dalle misure di distanziamento sociale. In quanto persone a maggiore rischio e, quindi, responsabili di eccessiva pressione sulle terapie intensive, sono rimasti, per mesi, pressoché isolati nelle loro residenze sanitarie, senza contatti con i propri familiari. La drastica riduzione, che in certi periodi è arrivata all’azzeramento, dei servizi di assistenza territoriale li ha privati della indispensabile sorveglianza sanitaria e confinati, anche in presenza di recrudescenza delle patologie di base, nelle piccole stanze delle residenze sanitarie o delle loro abitazioni in totale solitudine e abbandono. Il virus è stato particolarmente crudele con loro: molti sono morti senza potere rivedere i loro cari.

Non dimentichiamo che gli anziani sono una risorsa in termini di patrimonio sia affettivo che culturale. L’interruzione degli incontri tra nonni e nipoti ha comportato una scissura nel continuum relazionale tra generazioni, facendo venire meno la condivisione di quella memoria saggia e fortemente evocativa del sentimento di continuità e di appartenenza, valori fondanti nella crescita armoniosa di ciascuno verso la vita adulta. Gli anziani sono una risorsa anche dal punto di vista economico. In una famiglia su tre è la pensione dei nonni il reddito più rilevante, quando non l’unico. Un recente studio della Commissione Europea, sottolinea che gli anziani generano consumi intorno ai 4.200 miliardi di euro/anno, attivando dinamiche virtuose anche sul piano macro economico.

Giovani

Bambini, adolescenti, giovani, stanno pagando il prezzo più alto da un punto di vista sociale e psicologico. Lo chiamano sovraccarico emotivo, colpisce gli adolescenti tra 12 e 17 anni, e riguarda anche il furto del futuro che stanno subendo. Tutte le ricerche denunciano un preoccupante aumento di sintomi depressivi legati al distanziamento sociale o causati dalla perdita di legami amicali o di relazioni sentimentali. Sono aumentati i problemi di sonno, ansia, irritabilità, che in alcuni casi sfocia in aggressività verso di sé o verso gli altri, sia adulti conviventi che coetanei, anche in forma di aggressioni di gruppo. Si registra un aumento delle manifestazioni di autolesionismo e di suicidio giovanile (fino al 20% in più). Si segnala una indagine del centro di Neuropsichiatria infantile di Pavia che ha registrato un aumento del 50%, rispetto allo scorso anno, delle richieste di ricovero.

Non sono da sottovalutare i rischi legati ad una aumentata esposizione, quasi del tutto al di fuori del controllo adulto, al web e ai social media che comporta, come i dati già oggi dimostrano, un preoccupante incremento dei casi di dipendenza da internet. La dipendenza da internet, oltre ad incidere negativamente sul comportamento e sul bagaglio emozionale e cognitivo, comporta cambiamenti funzionali e strutturali a carico di regioni cerebrali coinvolte nei processi emotivi, decisionali, di attenzione esecutiva e di controllo cognitivo. Oltre a ciò vi è il rischio concreto che il mondo virtuale di internet finisca per sostituire quello reale dando luogo a fenomeni dissociativi e conseguente perdita del senso di realtà. In tema di dipendenza si prevede anche un aumento del consumo di sostanze e di alcool. Oltre ai derivati della cannabis e, sia pure in misura minore, della cocaina, si fa sempre più strada tra gli adolescenti l’uso di droghe sintetiche, poco note nel loro meccanismo d’azione, ma che alcune evidenze scientifiche le ritengono responsabili di danni al trofismo cerebrale e alla salute generale, oltre che a quella psichica.

Il confinamento, la riduzione della vita sociale, delle occasioni di svago e di incontro e la sospensione della vita scolastica hanno un impatto negativo anche sul sistema nervoso. Il cervello si nutre di relazioni sociali. Quando siamo in compagnia, ridiamo insieme e interagiamo scambiandoci informazioni ed emozioni, aumenta il numero e la efficienza delle sinapsi (cioè i contatti tra le cellule nervose) il cervello si arricchisce e diviene più tonico e attivo. Questo è particolarmente vero nella popolazione giovanile ed è particolarmente vero nella esperienza legata alla acculturazione scolastica.

Anche l’uso della mascherina merita alcune osservazioni. Pur indispensabili per la nostra salute fisica, rischiano di rappresentare una turbativa per quella psichica. Pur essendo una efficace barriera contro il virus, celano il viso e gran parte della comunicazione non verbale. La mimica facciale esprime le emozioni e loro autenticità molto più delle parole. Rappresenta un mezzo di scambio comunicativo di grande suggestione e facilita il riconoscimento reciproco attraverso la trasmissione di emozioni condivise che, soprattutto tra i giovani, sono alla base di relazioni interpersonali solide e significative.

I popoli vulnerabili

Esistono luoghi del mondo in cui la popolazione ed il sistema istituzionale sono fortemente vulnerabili. Si tratta di paesi caratterizzati da instabilità politica ed economica, con sistemi sanitari inadeguati, spesso sede di conflitti e oggetto di crisi umanitarie che si protraggono da decenni.

Ricordiamo che si contano circa 26 milioni di rifugiati (persone che risiedono in paesi stranieri tutelati dallo stato giuridico di asilo politico) e 41 milioni di sfollati interni che, a causa di guerre o catastrofi naturali, hanno dovuto abbandonare abitazione ed averi e si trovano, privati di tutto, in stato di emergenza umanitaria. Una previsione del World Food Programme, afferma che, perdurando la pandemia, le persone minacciate da insicurezza alimentare passeranno dagli attuali 135 a 265 milioni.

In questi paesi, spesso sede di conflitti etnici e religiosi, le spinte predatorie individuali o di piccoli gruppi armati sono consuete, feroci e causa di ulteriore instabilità e di gravi violazioni dei diritti individuali in totale assenza di sicurezza. In queste circostanze la pandemia può agire da detonatore di ulteriori forme di instabilità, aumentando le disuguaglianze e le ingiustizie sociali e fornendo nuove occasioni di tensioni. Nessun progetto di risanamento da Covid che riguardi la globalità della popolazione mondiale può prescindere dalla messa in sicurezza sanitaria di queste popolazioni.

Malattia tra vulnerabilità e resilienza

La pandemia è un dramma diffuso in tutto il mondo, ma non tutti si ammaleranno di depressione o di altri disturbi della sfera psichica. È oramai noto che i disturbi psichici, e non solo, sono spesso il risultato del confronto tra fattori di vulnerabilitàe fattori di protezione. Sempre più si è persuasi che alla base dell’insorgenza dei disturbi psichiatrici vi sia uno squilibrio tra queste due polarità.

La vulnerabilità è una caratteristica inerente all’essere umano. Si riferisce alla possibilità di essere ferito, danneggiato, o attaccato. Non è sinonimo di fragilità che, invece, definisce qualcosa di debole, che si rompe facilmente. La vulnerabilità risiede in un insieme di fattori genetici, psichici, ambientali, di apprendimento e di relazione sociale, che variano da individuo ad individuo. Ognuno ha la sua personale soglia di vulnerabilità. Malattie, povertà, solitudine, abbandono, violenza subita, guerre, catastrofi naturali, sono fattori che ne abbassano la soglia.

Un altro elemento che determina la possibilità di ammalarsi o meno, in un certo senso il contrappeso della vulnerabilità, è la resilienza, che può essere definita come la capacità di auto ripararsi dopo un danno e di riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili. Resilienza non è evitare di fare errori, al contrario, significa piuttosto affrontare le sfide della vita sapendo che si può avere successo o fallire, cadere e rialzarsi, rimbalzare dopo la caduta. Essere resilienti significa saper convivere con le parti più vulnerabili di sé, anche le più logorate, continuando a perseguire gli obiettivi della propria vita, senza perderne il controllo o il senso che le si vuole dare.

Seppure influenzata da fattori innati, la resilienza è una competenza che si può apprendere nel corso della intera esistenza. Si costruisce perseguendo il senso delle cose a partire dalle cose che danno un senso alla vita. Si costruisce ascoltando le proprie emozioni senza averne paura o rifuggirle perché le emozioni attivano circuiti cerebrali che faranno da sentinella, orientando le scelte comportamentali future più efficaci. Si costruisce correggendo i comportamenti difettosi gradualmente e a piccoli passi perché il cambiamento sia gestibile e possa generare miglioramenti graduali, ma sempre più perfezionati per costruire una struttura di personalità sempre più resiliente e meno vulnerabile.

Conclusioni

Il Covid 19 ha messo il mondo intero di fronte ad una emergenza del tutto inedita. Un nemico invisibile pericoloso e letale che ci ha privati della libertà e di tante abitudini che davamo per scontate costringendoci a ridefinire le nostre priorità. Il danno alla salute è stato rilevante in ragione del sovraccarico delle strutture sanitarie e della gravità della malattia che ha comportato un gran numero di decessi. Tutt’ora siamo in piena pandemia e non si è in grado di prevederne come e quando finirà. Il rischio permane e avrà un impatto notevole sulla nostra salute futura, anche in ragione della recrudescenza di patologie non Covid che oggi non trovano sufficiente attenzione. L’impatto sulle strutture sanitarie sarà notevole. Se non vi sarà un opportuno adeguamento il rischio di collasso sul piano logistico e di esaurimento emotivo da sovraccarico (Burn-out) del personale, rappresenteranno una delle emergenze socio sanitarie del futuro.

La pandemia ha rappresentato un grave fattore di stress che ha logorato e reso disfunzionali le capacità adattative dell’organismo e compromesso le difese psichiche incrementando i disturbi psichiatrici con interferenze sul piano emotivo e comportamentale. Numerose evidenze affermano che il danno psichico continuerà ad agire anche quando la pandemia sarà stata sconfitta. Gli effetti dello stress, infatti, permangono a lungo, si manifestano anche a distanza temporale dalla esposizione al fattore di stress e hanno una tipica evoluzione a cascata con implicazioni disfunzionali sempre più estese. In questa dinamica intervengono anche gli effetti funesti del danno economico e sociale che graverà sulla vita di tanti. Molti avranno perso il lavoro e vedranno ridurre notevolmente la qualità della loro vita presente e futura, molti, tra i giovani, avranno più difficoltà che mai a trovare il loro spazio nel mondo perché la pandemia avrà reso disarmonica la loro crescita personale e sociale.

Eppure tutti abbiamo la certezza che questa guerra non sarà vinta dal Covid. La storia ci insegna che l’umanità ha sempre saputo mettere in campo risorse utili a fare fronte alle circostanze avverse, superarle e ricominciare da capo. Ognuno ha, a modo suo, le competenze che gli permettono di saper convivere con le parti vulnerabili di sé, e, tuttavia, continuare a perseguire i propri obiettivi. Occorre solo imparare a riconoscere le proprie risorse strategiche ed esercitarsi ad utilizzarle, anche rischiando di andare incontro a sconfitte, non solo a successi. Perché questo è uno degli strumenti più preziosi che la natura ci ha dato per avere il controllo della nostra vita e saperla vivere fino in fondo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *