Rosa Lombardi, Ordinario di Economia Aziendale all’Università di Roma “La Sapienza”
Nelle ultime settimane il tema dei dazi commerciali ha monopolizzato il dibattito a livello internazionale.
L’annuncio del 2 aprile dei dazi USA per contenere il deficit commerciale statunitense, nonché il rinvio del termine per la loro applicazione alle importazioni, hanno generato riflessioni da più parti, soprattutto in termini di effetti sul commercio internazionale tra paesi, sulle imprese e sui consumatori finali dei beni coinvolti.
L’applicazione di dazi doganali rappresenta una delle forme di imposizione più antiche relativamente allo scambio di merci: chi non ricorda la esilarante scena del film diretto da Troisi e Benigni “Non ci resta che piangere” in cui in epoca rinascimentale ai portatori di un carro che accidentalmente si trova ad attraversare più volte la frontiera doganale nell’arco di un paio di minuti viene ripetutamente chiesto di pagare un fiorino? Ecco, appunto, il dazio dell’epoca, il fiorino.
Come noto, all’interno dell’area euro, caratterizzata da un unico spazio doganale, non vi sono dazi o barriere non tariffarie agli scambi tra i membri dell’unione e, a differenza di un’area di libero scambio, i membri dell’unione doganale impongono una tariffa esterna comune a tutte le merci che entrano nell’unione (“immesse in libera pratica”).
Secondo dati Istat, in Italia, nel mese febbraio 2025, le importazioni di merci hanno registrato una crescita del 4,1% (in valore) con una percentuale maggiore per l’area extra UE; al contempo, le importazioni hanno registrato una riduzione in volume (2,7%). Le esportazioni sono cresciute di 0,8% e si sono ridotte del 4,3% in volume (cfr. dati Istat; https://www.istat.it/comunicato-stampa/commercio-con-lestero-e-prezzi-allimport-febbraio-2025/). Tra i beni che sostengono le esportazioni troviamo, ad esempio, quelli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici ed i mezzi di trasporto (ad eccezione degli autoveicoli). Si registra, dunque, un aumento delle esportazioni delle imprese italiane nel periodo 2019-2023 ed una recente contrazione (cfr. Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi 2025, p. 19).
Il tessuto produttivo italiano è composto per oltre il 99% da piccole e medie imprese con molteplici specializzazioni, tra cui agroalimentare, automotive, abbigliamento e arredamento. Le PMI esportano all’estero circa il 50% del totale delle esportazioni italiane che coinvolgono molteplici paesi UE ed extra UE, tra cui gli Stati Uniti.
Complessivamente circa il 48% dell’export italiano è rivolto a paesi extra UE; nel 2024 le esportazioni delle imprese italiane verso alcuni Paesi si sono ridotte, come nel caso degli USA con una flessione stimata al 3,6% (cfr. Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi 2025). Da qui, l’analisi meriterebbe l’approfondimento di molteplici aspetti, come, ad esempio, la marginalità per le imprese, l’elasticità della domanda e il livello dei prezzi dei beni e servizi, le scelte di delocalizzazione e/o di individuazione di mercati alternativi, la presenza di tensioni geopolitiche, la politica monetaria internazionale e le soluzioni negoziali governative.
In pratica, l’ipotesi dazi alle importazioni statunitensi può essere riguardata assumendo più lenti di investigazione, tra cui quella dei potenziali effetti sulle esportazioni delle imprese italiane, che secondo alcune stime (cfr. Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi 2025, p. 35) genererebbero la riduzione dell’export in relazione alla percentuale di dazi imposta degli Stati Uniti.
Sotto un profilo meramente teorico, è interessante segnalare come l’ipotesi dazi sulle importazioni USA sembrerebbe da ricondurre, tra i vari ambiti, all’ideologia dell’economista Stephen Miran il quale, assumendo che gli Stati Uniti investano nella fornitura di beni pubblici a livello globale (ad esempio, in ambito finanziario), prospetta la modifica della politica commerciale internazionale, come anche analizzato nell’articolo “Stephen Miran, l’ideologo dei dazi di Trump, spiega perché l’America deve ricostruire la sua base industriale” pubblicato da Milano Finanza (https://www.milanofinanza.it/news/stephen-miran-l-ideologo-dei-dazi-di-trump-spiega-perche-l-america-deve-ricostruire-la-sua-base-202504081019158014), sostenendo la necessità di contribuzione da parte dei Paesi extra USA che usufruiscono dei beni pubblici statunitensi. In questa logica i dazi rappresenterebbero, tra i vari aspetti, una entrata volta a supportare il finanziamento dei suddetti beni, oltre alla possibilità di incentivare la delocalizzazione delle imprese sul territorio statunitense, intervenendo sul deficit commerciale e sulla produzione interna, inclusa quella del settore manifatturiero.