Formazione iniziale e reclutamento dei docenti: nuove basi per una ripartenza

1. I precari sono un “grande patrimonio” a cui attingere, dicono i sindacati della scuola, i politici di governo in cerca di voti e i mass media che svolgono la funzione di fiancheggiatori espliciti o impliciti degli uni e degli altri. Per questo tutti i precari vanno assunti a tempo indeterminato con concorsi riservati o, se già abilitati, per scorrimento delle chilometriche graduatorie che dovevano essere eliminate già nel 2008, ma che, per eterogenesi dei fini, è probabile possano durare almeno fino ad oltre gli anni trenta di questo secolo (salvo con ogni probabilità riprodursi anche dopo se si lascia inalterato il sistema attuale di formazione iniziale e di reclutamento dei docenti).

2. Sarà anche vero che il precariato dei docenti è un “grande patrimonio”. Ma siccome è dal tempo di Quintino Sella che esiste, forse è arrivato il momento anche di sbarazzarsene. Come fanno con i castelli aviti i nobili decaduti: tra manutenzione, tasse, spese straordinarie e rapporto costi benefici sono un debito non più sostenibile. Finché la rendita familiare superava il costo della continuità del patrimonio si poteva ancora esibirne il consumo vistoso, alla Veblen. Quando però il nobile decaduto si accorge che la rendita non c’è più, se è saggio, svende subito il patrimonio diventato un peso, mettendolo anche all’asta. La stessa cosa potrebbe capitare oggi con il nostro copiosissimo patrimonio di precari che oscilla, comprendendo anche i supplenti temporanei per 16 giorni, tra i 140 mila e gli oltre 200 mila all’anno. Numero che sembra crescere anche di parecchio negli ultimi anni sebbene la platea degli studenti, causa crisi demografica, sia diminuita in maniera non irrilevante (dal 2008 tra i 30 e gli 80 mila in meno annui).

3. Per la verità, vista la condizione di anossia mentale, da vera e propria ilarità degli abissi, che affligge, purtroppo da tempo, la nostra classe dirigente politica e sindacale è probabile che, scusa Covid-19, dal prossimo settembre, tra sdoppiamenti delle classi scolastiche, entrate ed uscite scaglionate degli studenti, attività di assistenza varia e altri ammennicoli inventati dalle fertili astrattezze dei vari comitati tecnico-scientifici che assistono la politica, ma non hanno mai visto soprattutto bambini in una scuola, si invochi a gran voce, in nome ovviamente dell’investimento per il capitale umano e per la scuola che deve tornare al centro dell’agenda politica nazionale, un ulteriore incremento della già smodata consistenza del precariato esistente. Servirebbero, infatti, secondo fonti sindacali, chi dice 40 e chi dice 80 mila nuovi docenti.

4. Creare nuovo precariato, tuttavia, come testimonia la storia soprattutto della Repubblica, significa prima o poi creare la necessità di provvedimenti per immettere questo sempre potente ed oggettivo gruppo di pressione in ruolo. Non è un caso che, dal 1947 ad oggi, si contano solo otto concorsi ordinari “puri” (per posti e abilitazione), mentre registriamo una pletora smodata di “leggi speciali” per inserimento nei ruoli ope legis di docenti non abilitati, per concorsi riservati a determinate categorie o per stabilizzazioni di abilitati senza posto. Su questa linea di leggi cumulative che non cancellano le precedenti si è innestato, come è noto, un groviglio inestricabile di contenzioso amministrativo che, se fa quasi sempre la gioia dei ricorrenti e il fatturato di schiere di giudici e avvocati, non favorisce certo l’apprendimento degli studenti. Il matrimonio morganatico stretto tra burocrazia ministeriale, sindacale e giudiziaria ha così ridotto la politica scolastica italiana a politica del personale e il sistema scuola alla più grande agenzia nazionale di collocamento per l’occupazione e la sottoccupazione intellettuale. Fino al paradosso, lo diceva la Montessori già 100 anni fa ad inizio di questo processo poi accelerato a dismisura, di immaginare quasi senza più accorgersene che esistano gli studenti per il sistema scuola, invece di sforzarsi, come si dovrebbe, per pensare e fare il contrario. Cosicché la inesauribile produzione nazionale di precariato è strettamente funzionale al voto elettorale e sindacale di scambio: io aiuto te e tu dai il voto o l’iscrizione a me.

Occorre essere temerari, in questo contesto, sul piano istituzionale (su quello personale è ovvio che molti docenti siano veri testimoni di impegno e di giustizia educativa), a parlare compulsivamente da decenni e senza il rossore della vergogna di istruzione formativa per ogni studente, di lotta alla dispersione scolastica, di diritto allo studio dei giovani meritevoli, di principio pedagogico della continuità educativa e didattica, di qualità della formazione da assicurare a tutti non soltanto a qualcuno.

5. Che la forza inerziale di questa perversa torsione delle finalità educative e culturali della scuola sia irresistibile e inclini spontaneamente a trasformare addirittura il peccato in scelte buone e giuste, lo si è visto anche in sede di conversione in legge del decreto legge 8 aprile 2020, n. 22, “recante misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato”. Non bastava il concorso riservato per i precari non abilitati con tre anni insegnamento. Tanto meno, ancora una volta, le assunzioni dei precari già inseriti nelle graduatorie nazionali. Un emendamento della senatrice Angrisani (M5S) ha voluto recuperare anche i precari non specializzati sul sostegno che negli ultimi dieci anni abbiano insegnato ai disabili per almeno 3 anni. Costoro, nonostante abbiano avuto la possibilità di partecipare a ben 4 cicli di corsi di specializzazione per il sostegno, non essendo mai riusciti a superare il test di ammissione, sono stati supplenti senza specializzazione. Ora rischierebbero di essere superati dai nuovi specializzati del V ciclo e perfino dagli idonei ai precedenti quattro cicli che non erano riusciti ad essere ammessi ai corsi perché eccedenti il numero messo a bando dalle università, ma che sono stati da poco graziati da un altro decreto ottriato dal ministro dell’università che ha istituito, a loro riservato, un “quarto ciclo e mezzo” per la specializzazione nel sostegno. Naturalmente con didattica breve a distanza. Da qui l’emendamento citato che, per fare giustizia tra ingiustizie, adesso ammette d’ufficio ai posti messi a bando dalle università per il V ciclo i supplenti che possono vantare il “patrimonio” di tre anni di esperienza su posti per disabili svolti però non solo senza specializzazione ma anche senza essere mai riusciti ad essere idonei in uno dei 4 cicli e mezzo precedenti ai quali avrebbero potuto concorrere. Non solo: visto che potranno godere di punteggi aggiuntivi significa che potranno superare nella graduatoria per il posto in ruolo i più giovani concorrenti che supereranno le prove di ammissione al V ciclo e lo concluderanno con successo. Il tutto, neppure troppo sottinteso, a buon rendere quando si voterà per qualche elezione politica, con la garanzia solenne del governo che se questo emendamento non dovesse passare nella conversione in legge del decreto scuola (per questioni tecniche poste dalla ragioneria generale dello Stato) sarà in ogni caso ripresentato nel decreto legge Rilancio (nel vuoto?) che dovrà essere convertito entro fine giugno. Un assalto alla diligenza in grande stile, insomma, che continua senza fine da decenni.

6. Difficile, tuttavia, immaginare che la scuola possa cambiare per adeguarsi alle sfide dei tempi (dal digitale alla globalizzazione, dal nuovo modo di concepire e praticare il lavoro con le tecnologie produttive alla complessità delle società interculturali) e che il paese possa ripartire con un rinnovato senso dello sviluppo, se si mantiene un sistema di istruzione gestito in questo modo. E, in particolare, se si continua a formare (?) e a reclutare il personale delle scuole non attraverso l’autenticazione affidabile e certificata di competenze professionali ma per occasionalità perlopiù emergenziali e per opportunismi perlopiù corporativi.

Per invertire la tendenza, siamo ben consapevoli che il sistema scuola nel suo complesso è come la nave di Neurath: non può essere manutenuto, portandolo artificialmente a terra in un buon cantiere, ma soltanto se continua a navigare in mare.

Questa condizione, tuttavia, non può impedire né di cominciare ad introdurre nette discontinuità con le abitudini di un passato di cui è forse troppo essere orgogliosi, né, soprattutto, di avere in mente non solo ciò che si può fare subito per non far sprofondare la nave, ma anche sapendo bene tempi e modi degli interventi successivi per renderla davvero capace di affrontare con maggiore sicurezza i flutti, mettendo a proprio agio in qualità e quantità anche la miglior promozione educativa e culturale possibile dei propri passeggeri.

In questo senso, a noi pare che l’abbrivo di ogni futuro processo di cambiamento organizzativo e ordinamentale del sistema scuola debba partire in modo urgente da una riforma della formazione iniziale dei docenti e delle procedure di reclutamento.

Per la formazione iniziale dei docenti, occorre prendere atto che noi, da un lato, l’abbiamo più lunga di tutti gli altri paesi del mondo e, dall’altro lato, che essa non è a) a numero programmato e b) abilitante all’esercizio della professione (salvo che nel corso di laurea in Scienze della formazione primaria). I nostri laureati sono perciò costretti ad entrare tardi nella scuola: i precari entrano in ruolo in media a ben 42 anni e l’intero corpo docente ha un’età media di quasi 53 anni. Anche per ringiovanire l’esercito dei docenti, si rende quindi indispensabile sia l’istituzione di lauree magistrali a numero programmato in base al fabbisogno che abilitino all’insegnamento come accade per oggi per quella in Scienze della formazione primaria sia che tali lauree siano promosse insieme da università e scuola perché da sole, in questo campo, queste due fondamentali istituzioni formative fanno danni mentre solo intrecciate possono avvalorarsi ed armonizzarsi a vicenda.

Per il reclutamento vanno, al contempo, impostati due provvedimenti complementari.

Il primo deve prevedere la decentralizzazione non del governo e del controllo valutativo generale del sistema scuola che devono restare centrali, ma della gestione delle singole istituzioni scolastiche. In pratica, decentrare, da un lato, alcune competenze di servizio organizzativo ora ancora centrali a livello di Regioni (per esempio l’iscrizione ad albi regionali degli abilitati, la cui idoneità all’insegnamento andrebbe verificata da scuola e università almeno ogni dieci anni) e, dall’altro lato, abbracciare senza più reticenze e senza più paternalistiche perifrasi precauzionali l’autonomia delle istituzioni scolastiche, sottraendola ai limiti di quella attuale molto simile, purtroppo, a quella di un cane a cui il padrone allunga a volta a volta un po’ la catena.

Il secondo provvedimento, sulla base di norme generali nazionali che stabiliscano le condizioni per l’esercizio di diverse modalità della funzione docente (non è la stessa cosa essere soltanto insegnanti o essere anche insegnanti che partecipano con l’università alla formazione iniziale dei giovani o che svolgono la funzione di tutor di un gruppo costante di studenti in un ciclo di studi, aiutandoli nell’elaborazione dei piani di studio personalizzati e nella compilazione dell’E-Portfolio delle competenze personali), è una diretta conseguenza del primo. Ovvero reclutare il personale con concorsi banditi da reti di scuole che chiedono precisi profili, caratteristiche e funzioni del docente di cui hanno bisogno, non più costrette quindi a prendere chi arriva per buona sorte dalle graduatorie o dalle varie sanatorie. Deve rientrare naturalmente nelle competenze delle istituzioni scolastiche anche la possibilità di chiedere la permanenza in sede per almeno dieci anni per i docenti chiamati a svolgere determinate funzioni (tipo quella del docente tutor, se mai sarà normata dalla legge nazionale). E di accettare che al posto bandito possano concorrere anche docenti già in servizio (questo dovrebbe essere a regime anche l’unico modo di pensare ai trasferimenti, oggi troppo improntati allo schema amministrativo-militare dello spostamento degli effettivi di due corpi d’armata).

7. Mentre si formano i docenti con il nuovo sistema a numero programmato che proponiamo e si possono iniziare, tra qualche anno, le nuove forme del reclutamento, si potranno anche tematizzare con adeguato dibattito pubblico tutti gli interventi riformatori necessari per cambiare il tradizionale e ormai obsoleto impianto organizzativo della scuola e, nondimeno, l’architettura di ordinamenti il cui imprinting resta quello del 1923.

L’organizzazione della scuola, infatti, è ancora improntata sui paradigmi storici da cui proviene: quello militare dell’ottocento e quello fordista del novecento, ambedue ormai inservibili ancora di più in tempi di post Covid-19.

Allo stesso modo sarà indispensabile un aggiornamento non apparente degli ordinamenti, prevedendo ad esempio la conclusione della secondaria a 18 anni, piani di studio articolati in attività obbligatorie, opzionali e facoltative, esami qualitativi di competenza per l’ammissione ai corsi universitari e ai corsi dell’istruzione e formazione professionale superiore, superamento della gerarchizzazione culturale ed educativa ancora esistente tra licei, istituti tecnici, istituti professionali e apprendistato di I livello superiore.

8. Anche per sollecitare una discussione pubblica, si illustra di seguito una proposta concreta per il piano di studi di una nuova formazione dei docenti che sia anche a numero programmato, abilitante all’insegnamento e alla conclusione della quale, dopo l’iscrizione ad un albo professionale di una delle Regioni d’Italia, si possa partecipare ai concorsi locali banditi dalle reti di scuole sulla base delle norme generali emanate a livello nazionale.

8.1. Docenti di scuola secondaria di I e II grado

1 – Laurea disciplinare (triennale) con 18 cfu di scelte libere degli studenti   

2 – Laurea magistrale per l’insegnamento con le seguenti caratteristiche:

a) ingresso a numero programmato

b) selezione per titoli (almeno 18 cfu di discipline pedagogiche e di psicologia dell’età evolutiva; media del 28 negli esami universitari relativi a discipline per le quali si sarà abilitati all’insegnamento; tirocini e stage condotti nella carriera scolastica in esperienze di insegnamento scolastiche e/o extrascolastiche comunque certificati nei risultati di apprendimento; a parità di punteggio preferenza per i più giovani)

c) selezione per esami (su prove decise a livello nazionale, comprese le competenze digitali) e colloquio orientativo locale da parte di una commissione del corso di studi, integrata da due rappresentanti del Ministero dell’Istruzione.   

d) piano di studi nazionale non più per cfu disciplinari, ma per cfu dedicati a progetti/problemi/compiti laboratoriali interdisciplinari riguardanti sia l’insegnamento sia l’apprendimento, trattati in forme ipertestuali e/o multimediali anche in compresenza da équipe di docenti.

e) 15 cfu in “apprendistato formativo” nelle istituzioni scolastiche con la formula della Mad (supplenze brevi: Messe A Disposizione) oppure altrettanti cfu di tirocinio formativo, ambedue le tipologie con un tutor accademico e con un tutor delle istituzioni scolastiche che assicurino la connessione tra piano di studi accademico ed esperienza professionale

f) 10 cfu per Relazione finale di apprendistato formativo o tirocinio e Tesi di laurea anche multimediale valutati abilitanti alla professione docente da una commissione finale composta da docenti universitari e da rappresentanti della scuola nominati dall’amministrazione statale;  nel caso in cui la Relazione finale e la Tesi di laurea siano specificamente curvati sulla prospettiva dei Bes la commissione è integrata da un professore universitario docente di Pedagogia speciale e da un docente di sostegno a tempo indeterminato iscritto ad un apposito albo regionale dei valutatori.

8.2. Docenti per la scuola dell’infanzia e primaria

a) conferma della laurea magistrale quinquennale ad accesso programmato

b) selezione per titoli (carriera scolastica; tirocini e stage condotti in esperienze di insegnamento scolastiche e/o extrascolastiche per bambini e fanciulli comunque certificati nei risultati di apprendimento; a parità di punteggio preferenza per i più giovani);

c) selezione per esami (su prove decise a livello nazionale ed afferenti a tre aree di base: scienze umane, scienze matematiche, fisiche e naturali e scienze motorio-artistico-espressive, oltre che digitali) e colloquio orientativo locale da parte di una commissione del corso di studi;

d) piano degli studi disciplinare per il triennio, con 6 cfu di apprendistato formativo tramite Mad e/o tirocinio diretto e indiretto, di cui 2 per i Bes (disabilità compresa), e 12 cfu di Pedagogia speciale e di Psicologia dei Bes;

e) piano di studi nazionale per il biennio conclusivo non più per cfu disciplinari, ma per cfu dedicati a progetti/problemi/compiti laboratoriali interdisciplinari riguardanti sia l’insegnamento sia l’apprendimento per le scuole dell’infanzia e primaria, trattati in forme anche ipertestuali e/o multimediali; 6 cfu di apprendistato formativo tramite Mad e/o tirocinio diretto e indiretto, di cui 2 per i Bes (disabilità compresa), e 12 cfu riservati a  progetti/problemi/compiti laboratoriali interdisciplinari riguardanti i Bes(disabilità compresa), svolti da équipe di docenti anche in compresenza 

f) 9 cfu per Relazione finale di apprendistato formativo o tirocinio  e Tesi di laurea,  valutati abilitanti alla professione docente da una commissione composta da docenti universitari e da rappresentanti nominati dall’amministrazione statale; nel caso in cui la Relazione finale e la Tesi di laurea siano curvati nella prospettiva  dei Bes (o specifica sulla disabilità) la commissione è integrata da un professore universitario di Pedagogia speciale e da un docente di sostegno a tempo indeterminato iscritto ad un apposito albo regionale dei valutatori (in questo caso i 9 cfu, insieme ai cfu di tirocinio o di insegnamenti sui Bes sono riconosciuti crediti spendibili ai fini dell’accesso al corso annuale di specializzazione per il sostegno).

Giuseppe Bertagna – professore ordinario di pedagogia – Università di Bergamo