PROBLEMI DELLA GIUSTIZIA E DISEGNO DI LEGGE BONAFEDE – CRITICA E PROPOSTE

di Claudio Zucchelli – Presidente Aggiunto Onorario del Consiglio di Stato

Il sistema della giustizia italiana manifesta punti di criticità che qui si riassumono

  1. In Linea generale si lamenta il potere esorbitante e improprio nei confronti degli altri poteri dello Stato esercitato attraverso lo strumento dell’azione penale discrezionalmente scelta ed estrapolata tra le varie notiziae criminis, quando non ricercata aprioristicamente ad arte.

A tale invadente potere di iniziativa si aggiunge la totale irresponsabilità dei PM dinanzi alle proprie indagini e accuse. Massimamente poi in relazione al rigetto totale delle ipotesi accusatorie.

Si deve però più esattamente ritenere che tale problematica non pertenga di per sé alla esistenza dell’ordine magistratuale né che derivi da uno scontro di potere inevitabile nel sistema democratico occidentale, ma piuttosto che sia conseguenza di una erroneo assetto degli equilibri interni all’organo di autogoverno che determina non già una autonomia e indipendenza della magistratura, ma una sua autoreferenzialità e anarchia nel quadro istituzionale.

  • Il secondo punto critico, consiste nelle modalità di costituzione e di funzionamento del CSM.

I nostri costituenti hanno ritenuto che il solo problema da risolvere fosse il temuto controllo dell’Esecutivo e del Legislativo (cioè della Politica) sulla giurisdizione, in particolare penale. Da risolversi con la sottrazione della gestione del “Servizio Giustizia” al Ministro competente e l’affidamento ad un organo autarchico e autonomo di gestione, il CSM, di estrazione elettiva.

All’interno dell’organo l’equilibrio di poteri sarebbe dovuto essere assicurato dalla presenza di una componente togata in misura prevalente e di una componente laica di elezione parlamentare. Ciò avrebbe realizzato il tipico sistema di bilanciamento dei poteri, cui è ispirata la nostra Costituzione, in astratto condivisibile. Il risultato non è stato soddisfacente perché il sistema di elezione dei componenti togati ha determinato un confronto di interessi politici generali e non meramente amministrativi o gestionali.

Sino alla riforma del 1976 le elezioni dei magistrati si tenevano a doppio turno. In un primo passaggio erano designati magistrati che andavano a formare la lista nazionale, all’interno della quale al secondo turno erano votati i componenti.

Con la riforma recata dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695 il sistema elettorale fu cambiato prevedendosi che (art. 25) le elezioni si effettuano in collegio unico nazionale, col sistema proporzionale e sulla base di liste concorrenti.

Non ostante il pudico nome di “liste concorrenti” è fin troppo ovvio che la riforma aveva introdotto un sistema basato su “partiti”, vale a dire su partizioni dell’elettorato in parti in conflitto o contrasto oltre che ideologico, anche di interessi. Da lì al successivo passaggio della omologazione o avvicinamento di tali “parti” o “correnti” alla partizione politica del corpo elettorale per le elezioni politiche, il passo fu breve.

Solo con la riforma recata dalla legge 28 marzo 2002, n. 44 il sistema elettorale fu nuovamente cambiato, prevedendosi la presentazione singola e personale del candidato, accompagnato da un congruo numero di “presentatori” e l’espressione di un solo voto nella scheda.

In realtà il sistema delle “liste concorrenti” o partito, innescato dalla precedente normativa, non è stato di fato smantellato. Solo sono cambiati i sistemi di organizzazione del voto della propria corrente all’interno dei collegi elettorali.

La negatività di uno scenario “partitico” non è stata affatto superata, e non lo potrà mai essere fino a che la elezione dei componenti del CSM rimarrà espressione di un consenso ad una linea di politica giudiziaria e legislativa e non a un programma di efficienza ed efficacia della funzione giurisdizionale.

Il punto è infatti costituito dal comportamento effettivo dei componenti nella gestione del “Servizio Giustizia” in funzione del loro mandato.

Non vengono in questione le opinioni e i comportamenti personali dei singoli in quanto tali, ma si tratta di comprendere i meccanismi da cui questi sono determinati. Infatti, non sono solo le convinzioni personali ad orientare i componenti, ma anche e soprattutto l’assetto degli interessi che ha espresso i rappresentanti e a cui questi devono rispondere.

La sopravvivenza delle correnti interne (cioè dei partiti) che non può essere ovviamente proibita senza violare basilari principi di libertà nell’associarsi, si esplica sia nella fase della “presentazione” sia in quella del voto attraverso una opera di convincimento basata non su programmi amministrativi di gestione del “Servizio Giustizia”, ma politici di strategia legislativa e giudiziaria.

Nel tentativo di trovare un equilibrio tra poteri, a suo tempo i costituenti hanno ritenuto di affidarsi al meccanismo elettivo della componente magistratuale dando ad essa maggioranza assoluta (16 su 27 componenti) a contrastare una eventuale preponderanza politica de facto della provenienza parlamentare.

Alla lunga questo si è rivelato essere un falso problema, mentre, quasi come la legge del contrappasso, se ne è manifestato un altro ancora più grave. Vale e dire ciò che un autorevole le componente del CSM ebbe a sua volta a definire come: “un deficit gravissimo di autonomia e indipendenza non dall’esecutivo, ma dallo stesso CSM”.

In effetti, come accennato, la selezione per elezione ha necessariamente avviato una situazione di rappresentanza di interessi differenziati, espressi da un corpo null’affatto omogeneo. Come sempre accade, la creazione di un organo rappresentativo di interessi attribuisce a quest’ultimo una funzione politica e non tecnica. In questa ottica, è in verità ineliminabile il fatto che se esso deve procedere a elezioni per nominare la propria classe dirigente, poiché eleggere significa scegliere, ciò avvenga tra proposte politiche differenti, che quindi creano per definizione partiti (correnti) diversi.

Il meccanismo della solidarietà di partito, cioè di interessi reciproci, crea le alleanze tra le correnti a difesa dello status generale, e quindi dei singoli magistrati, di fatto bloccando qualsiasi ipotesi di controllo e repressione di comportamenti politicamente e disciplinarmente scorretti, e incidendo condizionatamente sulle scelte dei livelli dirigenziali, a prescindere dal merito, ma con il parametro fondamentale della fedeltà al mandato.

Ciò ha determinato il fenomeno patologico del controllo politico del CSM e della gestione dei magistrati e degli incarichi direttivi da parte di enti privati, esponenziali di indirizzi politici talvolta opposti, le correnti appunto. Queste, come è naturale che accada ogni volta che si è in presenza di uno schema articolato su posizioni di parte (partiti), hanno finito per gestire l‘ordine magistratuale non in funzione dell’interesse pubblico del “Servizio Giustizia” (come era nelle intenzioni del Costituente) e in posizione di autonomia e indipendenza, ma in funzione degli interessi di parte rappresentati.

I magistrati non inquadrati in correnti, o comunque ad essi vicini e sodali, sono stati di fatto tagliati fuori dai meccanismi, potendo essi fare affidamento solo sul merito, quando riconosciuto.

Di fatto la autonomia e indipendenza si è dissolta in un modello etero diretto, là dove il vero fulcro decisionale risiede fuori dal CSM e non nei suoi organi istituzionali.

Fenomeno storicamente ben conosciuto in Italia, dove per decenni la politologia ha lamentato che il vero potere politico risiedesse nelle segreterie dei partiti e non in Parlamento.

A ciò si aggiunga che il sistema elettorale dei magistrati al CSM ha determinato uno squilibrio tra le correnti politicamente più omogene ed attive da un lato, e i magistrati meno avvezzi alla frequentazione partigiana dall’altro. Il che ha determinato lo strapotere acquisito di talune correnti o categorie di magistrati, che è funzione e conseguenza del sistema correntizio che controlla l’assegnazione degli incarichi costringendo, nel migliore dei casi, ad una spartizione proporzionale al peso politico della corrente.

  • Un ulteriore aspetto rilevante è dato dalla organizzazione degli uffici di procura ai sensi del d.lvo n. 106 del 2006. L’art. 6 postula che l’esercizio dell’azione penale spetti solo al procuratore. Di fatto tra il meccanismo della delega e la prassi, i sostituti godono di una autonomia all’interno dei criteri fissati dal procuratore e quindi di un rapporto di fiducia che si sostiene, in gran parte, con la contiguità correntizia. In questa ottica la nomina del procuratore (incarico direttivo) è un passaggio irrinunciabile per gestire il potere perché rafforza il circuito dei sostituti fedeli a una linea, ma è in grado di affossare quelli di altra corrente.

I meccanismi di scelta degli incarichi direttivi divengono quindi essenziali per governare la macchina e quindi diventa cruciale la individuazione dei criteri per l’assegnazione di essi.

A tale proposito, appare irrinunciabile il recupero, come criterio primario nella assegnazione degli incarichi direttivi, della posizione nell’ordine di ruolo.

L’affermazione pare, a prima vista, contraria alla rilevanza sempre maggiore che nella scelta della classe dirigente si attribuisce oggigiorno al merito, professionalità e capacità personali. Nel caso di specie, però, sussistono anche ulteriori interessi pubblici da soddisfare e conciliare con quelli di buon andamento della P.A. e tra questi sicuramente quello di assicurare la autonomia, imparzialità e indipendenza dei giudici, per la cui realizzazione è imprescindibile assicurare la autonomia, indipendenza e imparzialità della classe dirigente dell’ordine di magistratura, nei confronti della Politica ma anche, e forse soprattutto, nei confronti del CSM.

Si è già osservato che il sistema delle correnti e della omogeneità di interessi, anche personali di carriera, emargina i magistrati che non vogliano piegarsi a subire influenze o intromissioni. Per tale motivo, anche le scelte asseritamente effettuate sulla base del merito destano perplessità, nella misura in cui tale merito sia giudicato all’interno del medesimo meccanismo di potere correntizio.

Per tale motivo sin dall’origine dell’Ordinamento Giudiziario il criterio pressoché unico di scelta dei magistrati cui affidare incarichi direttivi è stato quello della anzianità. Nel tempo, con il pretesto peloso del riconoscimento del merito, tale criterio è stato via via abbandonato, anche in relazione a diversi atti interni del CSM che hanno superato e prevaricato anche la legge. La giurisprudenza del C. d. S. ha ritenuto per decenni che tale criterio fosse il principale, sostanzialmente l’unico, perché il più oggettivo soprattutto trattandosi di scegliere all’interno di un corpo composto tutto da membri particolarmente qualificati sin dalla selezione iniziale. La prassi del CSM e le norme interne hanno di fatto abbandonato questo criterio, dando luogo a rischi elevatissimi di scelte influenzate da fattori estranei al merito.

Sembra quindi indispensabile che i criteri per la nomina agli incarichi direttivi siano in primo luogo individuati dalla legge e non da atti interni del CSM, ma da veri e propri regolamenti ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988.

In secondo luogo che tali criteri risultino sussidiari a quello della anzianità, come meglio si vedrà nella proposta allegata a questo documento.

  • Tutta l’organizzazione del CSM è funzionalizzata alla gestione del “Servizio Giustizia”, espressione del potere giurisdizionale. Anche altri uffici dello stesso CSM quindi rivestono un ruolo fondamentale.

Ci si riferisce alla Segreteria, all’Ufficio del Massimario e Ruolo e all’Ufficio studi.

I Magistrati addetti alla Segreteria Generale, di fatto, guidano con il Segretario Generale la macchina amministrativa. La Segreteria, quindi, è il luogo ove è effettivamente realizzata l’amministrazione attiva del servizio, ove le direttive e gli orientamento di alta amministrazione, cioè di politica dell’organo, sono effettivamente gestiti.

L’Ufficio del Massimario non svolge solo una funzione scientifica di massimazione delle sentenze di Cassazione e di gestione dell’archivio, cioè la memoria storica, di esse anche a fini scientifici. I suoi compiti sono poco conosciuti, ma assai rilevanti.

Compito istituzionale dell’Ufficio del massimario e del ruolo, infatti, è l’analisi sistematica della giurisprudenza di legittimità, condotta allo scopo di creare le condizioni di un’utile e diffusa informazione (interna ed esterna alla Corte di cassazione), necessaria per il miglior esercizio della funzione nomofilattica della stessa Corte. Tale analisi è articolata nelle attività:

– Di lettura, selezione e massimazione, dei provvedimenti civili e penali;

– di redazione di concise “notizie di decisione” da pubblicare nel sito web

– di segnalazione dei contrasti, della avvenuta risoluzione degli stessi e degli orientamenti interpretativi della giurisprudenza di legittimità, nonché delle più rilevanti novità normative;

– di redazione delle relazioni per i ricorsi assegnati alle Sezioni unite, ai fini della risoluzione di contrasti o che presentano questioni di massima di particolare importanza;

 Di redazione di sintetiche relazioni informative, necessarie per una parte dei ricorsi rimessi alle Sezioni unite;

– di redazione di schede e relazioni informative su richiesta dei presidenti titolari, per ricorsi aventi ad oggetto questioni di particolare rilevanza assegnati alle sezioni semplici;

– di relazioni periodiche sulle decisioni relative ai principali orientamenti della Corte di cassazione.

Come si può comprendere esso è, di fatto, l’organo operativo della nomofilachia. Dalla massima, dalle relazioni e dalle notizie pubblicate, infatti, la società acquisisce il principio di diritto stabilito dalla Cassazione, spesso sepolto nella oscurità della motivazione. Esso, quindi, non svolge un’attività asettica e scientificamente oggettiva e neutra, ma un’attività nei fatti complementare a quella giurisdizionale e precipuamente politica nella scelta e nei contenuti delle massime e delle relazioni.

Un principio di diritto o un indirizzo emergente per l’attività decisoria, possono essere trascurati o distorti semplicemente attraverso la non massimazione o una massimazione imprecisa, o il contenuto ambiguo di una relazione.

Rilevante è anche la gestione del potere che avviene tramite i magistrati addetti all’ufficio studi, oggi nominati su input diretto delle correnti. Essi orientano la prassi giuridica del CSM e dell’intera magistratura, risolvendo i dubbi ed emanando pareri, e contribuiscono alla alluvionale creazione normativa regolamentare, che di fatto disciplina la carriera dei magistrati quasi al di là della legge sull’ordinamento giudiziario spesso in contrasto con essa. E’ opportuno quindi incidere anche su tali criteri di nomina, per interrompere il filo diretto correntizio.

  • Infine non meno rilevante è l’esigenza di disporre di un sistema disciplinare per i magistrati idoneo a soddisfare alcuni principi irrinunciabili nella fase del giudizio per garantire:
  • Il rispetto del giudice naturale precostituito per legge;
  • La completa autonomia, indipendenza e terzietà del giudice, ma al contempo che
  • Il sistema sia salvaguardato anche solo dal sospetto di una giurisdizione domestica autoreferenziale e per ciò stesso non imparziale e non giustamente rigorosa.

Il sistema attuale ha mostrato crepe derivanti dalla composizione dell’organo giudicante attuata mercé la unione di soggetti portatori per definizione di interessi di parte, anche coinvolti dai fatti rilevanti disciplinarmente e dalla personalità dall’incolpato.

Il giudizio si trasforma così da giudizio sul fatto e diritto, a giudizio sulla persona e il suo ruolo all’interno della magistratura.

IL DDL BONAFEDE

Il progetto di ddl di riforma presentato dal Ministro Buonafede ha il merito di avere affrontato alcuni di questi problemi, ma il demerito di non averne risolto alcuno e di avere, anzi, per alcuni versi peggiorato la situazione.

composizione del csm

Il d.d.l. Bonafede si limita ad aumentare il numero dei componenti togati e di quelli laici (rispettivamente da 16 a 20 e da 8 a 10) il che è senza dubbio consono alla fame di poltrone delle correnti e a una migliore suddivisione politica delle stesse, ma non certo confacente all’interesse pubblico.

Stabilisce norme più stringenti per la composizione dei collegi elettorali e per le procedure di candidatura.

Istituisce un doppio turno di consultazione basato sulla valutazione ponderata del valore di scelta di ciascun candidato. E’ stato adottato, infatti, il metodo elettivo secondo il quale si tiene conto, per ciascun candidato, della posizione assunta nelle schede elettorali nel primo turno del proprio collegio, attribuendo al secondo, terzo e quarto posto un valore pari a 0,9, 0,8 e 0,7 di voto. Analogamente, al secondo turno, il conteggio dei voti si attua attribuendo un coefficiente di 0,80 alle seconde posizioni assunte in ciascuna scheda.

Il metodo, lungi dal contrastare un controllo dell’esito delle votazione, permette di favorire i candidati istituzionali delle correnti piuttosto che i liberi battitori, raggiungendo l’effetto opposto a quanto si auspica perché rafforza il potere correntizio.

Come chiusa, il d.d.l. prevede una incredibile “grida” manzoniana, di alcun valore giuridico, sostanzialmente incostituzionale e di dubbia serietà intellettuale. Si tratta dell’art. 27 del disegno di legge che introduce un quinto comma all’art. 11 della legge 24 marzo 1958 n. 195 del seguente tenore: “All’interno del Consiglio superiore della magistratura non possono essere costituiti gruppi tra i suoi componenti e ogni membro esercita le proprie funzioni in piena indipendenza e imparzialità”.

Sul punto delle modalità di composizione del CSM si ritiene che occorra rispettare il dettato costituzionale (art. 104, co. 4) in base al quale i componenti togati sono eletti da tutti i magistrati ordinari.

Non sarebbe quindi possibile un metodo di scelta dei componenti togati privo di elezione. Null’altro aggiunge la Costituzione. Ciò significa che il Legislatore ordinario può modulare la procedura per giungere alla elezione essendo vincolato solo dall’obbligo di determinare la nomina all’esito di un processo elettorale.

L’ipotesi di utilizzare un doppio sistema (filtro attraverso sorteggio ed elezioni) non determina problemi costituzionali. Per altro sino ad oggi i criteri per la presentazione delle candidature operano anche essi come filtro, atteso che l’elezione non avviene, come ad es. in una associazione, tra tutti i soci, ma solo tra coloro che si sono candidati nelle forme previste sul bollettino ufficiale. Ove queste forme di filtro siano previste dalla legge la garanzia è addirittura maggiore. In sostanza, quindi, la vera novità dovrebbe consistere nel dovere di ufficio di svolgere la funzione, se sorteggiati ed eletti, e quindi nella conseguente modifica della prima parte della procedura di scrematura (dalla candidatura si passa alla estrazione).

Non appare quindi contrario all’art. 104, co. 4 Cost. un sistema a doppio turno che:

  • Al primo turno preveda la scelta per estrazione a sorte di un paniere di legittimati passivi, in numero ragionevole, rispettando un rapporto ad es. di 6/1
  • Al secondo turno la elezione si svolga all’interno del paniere già estratto a sorte, nel limitato numero dei posti da coprire.

Il sistema va accompagnato con alcune norme di contorno:

L’esercizio del mandato appartiene al novero dei doveri di ufficio e quindi l’estrazione a sorte non può essere rifiutata, salvo per legittimo impedimento;

Esclusione della rielezione in assoluto (oggi è vietata solo la immediata rieleggibilità).

Quanto all’assegnazione di incarichi direttivi e semi direttivi

Il d.d.l. Bonafede rimodula i criteri per definire il merito, ponendo la anzianità di ruolo come ultimo criterio residuale. Di fatto non incide sulla manovrabilità dei criteri di valutazione da parte della commissione apposita, che rimangono largamente discrezionali.

Sembra opportuno, invece, ripristinare un sistema che esalti l’anzianità senza deprimere il merito, ma anche che non sia suscettibile di deviazioni.

La norma più o meno reciterebbe:

“All’art, 12, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, dopo il comma 12 è inserito il seguente comma 12 bis:

“12 bis Le valutazioni per il conferimento delle funzioni di cui all’art. 10, co. da 5 a 16 sono svolte prendendo in considerazione i candidati secondo l’ordine decrescente di collocazione nel ruolo. A seguito di un giudizio positivo, l’incarico è assegnato e non si procede alla valutazione di ulteriori candidati. Ove il giudizio sia negativo, si procede alla valutazione del candidato collocato nel posto di ruolo immediatamente successivo con le medesime modalità, e così sino alla prima valutazione positiva, compiuta la quale non si procede oltre nella valutazione delle candidature. Il giudizio negativo è specificatamente motivato in relazione a ciascuno dei criteri indicati nell’art. 12, commi 10, 11, 12 e 13 ed è esclusa qualsiasi valutazione comparativa con gli altri candidati.”

Nomina dei magistrati addetti alla segreteria generale, ufficio studi e massimario e ruolo

Quanto all’incidenza sulle nomine dei magistrati addetti alla segreteria generale e all’ufficio studi si è già osservato che la gestione concreta del CSM, da un punto di vista amministrativo, istruttorio etc., è affidata al Segretariato Generale, composto da numerosi magistrati addetti, nominati a seguito di interpello secondo criteri soggettivi e personali. Appare quindi opportuno rendere anche queste presenze del tutto casuali pur all’interno di un percorso di verifica della idoneità.

Si propone quindi una norma che preveda la partecipazione al concorso e il giudizio di idoneità da parte del CSM, per un numero di candidati almeno triplo dei posti da coprire, e quindi la estrazione a sporte tra gli idonei.

Il d.d.l. Bonafede elimina dalla segreteria generale 14 laici e vi introduce 15 magistrati scelti con concorso interno. Ciò significa la blindatura da parte della corporazione della gestione amministrativa del CSM e dell’ordine intero, rendendo la SG del tutto autoreferenziale. Non sono indicati i criteri di scelta nel concorso.

Quanto all’ufficio studi, il d.d.l. Bonafede prevede l’inserimento di personale amministrativo e di esterni, individuati mediante procedura selettiva con prova scritta aperta ai professori universitari di ruolo di prima e di seconda fascia, agli avvocati iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e a tutti i magistrati ordinari, i quali sono posti fuori del ruolo organico della magistratura.

Anche in questo caso non sono previsti criteri di valutazione, che sono demandati alle norme interne del CSM, con evidente poca trasparenza e indipendenza dal sistema correntizio.

Quanto al Massimario il d.d.l. Bonafede prevede modifiche alla pianta organica e alle competenze. In particolare lento sfoltimento sino a 37 dei magistrati oggi addetti

Nulla dispone sui criteri e procedure di assegnazione.

Anche nel caso delle nomine alla Segreteria Generale e al Massimario sembra opportuno introdurre il criterio primo della anzianità come per l’assegnazione degli incarichi direttivi.

Quanto al procedimento disciplinare

Il primo punto da modificare consiste nel rendere obbligatoria l’informativa al ministro di tutte le sentenze disciplinari anche se in procedimenti su iniziativa del PG.

La durata predeterminata del procedimento disciplinare, a tutela dall’incolpato, deve anche tenere conto dell’interesse pubblico a chiarire il più rapidamente possibile la posizione del magistrato. Il mancato rispetto del termine biennale per formulare le richieste conclusive e del secondo termine biennale per l’emissione della sentenza, determina la estinzione del procedimento disciplinare (art. 15, co. 7 della legge 109). Essi appaiono sono troppo dilatati rispetto all’interesse pubblico ad una celere definizione della situazione di un magistrato. Occorre ridurli almeno ad un anno ciascuno.

Il procedimento disciplinare si atteggia come giudizio di primo grado dinanzi alla sezione disciplinare composta dal v. presidente del Csm che la presiede, da un membro laico e da 4 magistrati. Il secondo grado è rappresentato dalla impugnazione alle SSUU civili. Anche il giudice di appello appartiene quindi al medesimo ordine dell’incolpato. Si ripropone così la problematica legata al rischio di autoreferenzialità del giudizio domestico. 

Sembra che si possa raggiungere un equilibrio soddisfacente tra la garanzia di autonomia e indipendenza della magistratura e l’evitare il corporativismo, garantendo un giudice di appello realmente terzo, non appartenente al medesimo ordine cui appartiene l’incolpato.

L’attuale sistema del ricorso alle SSUU va quindi modificato. Laddove l’appellante sia il Ministro sembra opportuna la competenza di secondo grado della Corte costituzionale lasciando inalterata l’impugnazione alle SSUU civili negli altri casi.

In effetti, il ministro a differenza del PG, non ha l’obbligo della azione disciplinare. Nel promuoverla egli compie una valutazione altamente discrezionale, un atto politico e non amministrativo. Ne consegue che il contrario avviso del ministro sulla sentenza della sezione disciplinare è indice di un contrasto di opportunità politica con il CSM sulla sussistenza del presupposto di imposizione della sanzione disciplinare. In tal caso ricorre dunque una situazione assimilabile al conflitto tra Poteri, di cui all’art. 134 Cost. di competenza della Corte.

Il d.d.l. Bonafede non affronta tali problemi e si limita ad introdurre una nuova figura di norma incriminatrice speciale attinente la omissione di misure atte a contrastare i ritardi nei depositi delle motivazioni delle sentenze.

BOZZA DI PROPOSTA DI ARTICOLATO

L’art. 23 della legge 24 marzo 1958, n. 195 è sostituito dal seguente:

Art. 23.

Componenti eletti dai magistrati

  1. L’elezione da parte dei magistrati ordinari di sedici componenti del Consiglio superiore della magistratura avviene in un doppio turno di scelta secondo le modalità previste dal presente articolo.
  1. L’elezione si effettua:
    1.  In un collegio unico nazionale, per due magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione e la Procura generale presso la stessa Corte;
    1. In un collegio unico nazionale, per quattro magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito e presso la Direzione nazionale antimafia, ovvero che sono destinati alla Procura generale presso la Corte suprema di cassazione ai sensi dell’articolo 116 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’articolo 2 della legge 13 febbraio 2001, n. 48;
    1. In un collegio unico nazionale, per dieci magistrati che esercitano le funzioni di giudice presso gli uffici di merito, ovvero che sono destinati alla Corte suprema di cassazione ai sensi dell’articolo 115 dell’ordinamento giudiziario di cui al citato regio decreto n. 12 del 1941, come sostituito dall’articolo 2 della citata legge n. 48 del 2001.
  1. Al primo turno l’Ufficio elettorale costituito ai sensi dell’art. 25, co. 2, entro trenta giorni dal provvedimento di convocazione delle elezioni estrae a sorte, anche avvalendosi di strumenti informatici, tra tutti i magistrati aventi diritto all’elettorato passivo, 96 nominativi distribuiti tra i collegi di cui al c o. 2 nel seguente modo:
    1.  12 magistrati per il collegio sub a) del co. 2;
    1. 24 magistrati per il collegio sub b) del co. 2;
    1. 60 magistrati per il collegio sub c) del co. 2.
  1. Al secondo turno di scelta, l’elezione avviene, per collegi, con voto personale, diretto e segreto tra i magistrati risultati estratti a sorte.
  1. Lo svolgimento dell’incarico di componente del Consiglio Superiore della Magistratura costituisce dovere d’ufficio e non è rinunciabile, salvi gravissimi e comprovati motivi di salute o inerenti il servizio della Giustizia, autorizzati dal CSM uscente.

“L’art, 25 della legge 24 marzo 1958, n. 195, è sostituito dal seguente:

“Art. 25. Convocazione delle elezioni, uffici elettorali e spoglio delle schede

  1. La convocazione delle elezioni è fatta dal Consiglio superiore della magistratura almeno sessanta giorni prima della data stabilita per l’estrazione a sporte di cui all’art. 23, co. 2.
  1.  Nei cinque giorni successivi al provvedimento di convocazione delle elezioni, il Consiglio superiore della magistratura nomina l’ufficio centrale elettorale presso la Corte suprema di cassazione costituito da tre magistrati effettivi e da tre supplenti in servizio presso la stessa Corte che non abbiano subito sanzioni disciplinari più gravi dell’ammonimento, e presieduto dal più elevato in grado o da colui che vanta maggiore anzianità di servizio o dal più anziano.
  1. Effettuata l’estrazione a sorte di cui all’art. 23,2 Co. 2, nei cinque giorni successivi, l’ufficio centrale elettorale accerta che i magistrati estratti esercitino le funzioni indicate nell’articolo 23, comma 2, lettere a), b) o c), che non sussista in capo agli stessi alcuna delle cause di ineleggibilità indicate al comma 2 dell’articolo 24. Trasmette   quindi   immediatamente   l’elenco degli estratti alla Segreteria del Consiglio superiore della magistratura.
  1. Contro il provvedimento di esclusione, che è sempre motivato, è ammesso ricorso alla Corte suprema di cassazione nei tre giorni successivi alla comunicazione all’interessato. La Corte si pronuncia entro i successivi cinque giorni dal ricevimento del ricorso. Il ricorso per ottenere l’esonero di cui all’art. 23 co. 4, è proposto entro tre giorni al CSM che si pronuncia entro i successivi cinque giorni dal ricevimento del ricorso, anche nella sola Commissione competente. I magistrati esonerati dal CSM sono sostituiti entro tre giorni dall’Ufficio Elettorale mediante estrazione nell’ambito del medesimo collegio di appartenenza.
  1.  L’elenco dei candidati, distinti nei collegi di cui all’articolo 23, comma 2, è immediatamente pubblicato sul notiziario del Consiglio   superiore della magistratura, è inviato a tutti i magistrati presso i rispettivi uffici almeno venti giorni prima della data della votazione, ed è affisso, entro lo stesso termine, a cura del Presidente della Corte d’appello di ogni distretto, presso tutte le sedi giudiziarie.
  1. INVARIATO
  1. INVARIATO
  1. INVARIATO
  1. INVARIATO
  1. INVARIATO

Alla legge 24 marzo 1958, n. 195, la lettera e) del co. 2 dell’art. 24 è sostituita dalla seguente.

“E) i magistrati che abbiano fatto parte del Consiglio superiore della magistratura anche non per l’intero periodo previsto dall’art. 32 co. 1.”

“Alla legge 24 marzo 1958, n. 195, dopo l’art. 7 bis è aggiunto il seguente articolo 7 ter:

“7 ter. Scelta dei magistrati addetti alla Segreteria Generale, all’Ufficio Studi e all’Ufficio Massimario e Ruolo.

  1. La nomina dei magistrati addetti alla segreteria generale del CSM, all’Ufficio studi di cui agli articoli 7 e 7 bis, e all’Ufficio del Massimario del Ruolo, avviene secondo l’ordine di ruolo tra i candidati che abbiano partecipato all’interpello e che siano stati giudicati idonei dagli organi competenti del CSM.
  1. I criteri e parametri per la valutazione di idoneità sono stabiliti dal CSM, nei modi previsti per l’adozione di regolamenti interni di organizzazione.
  1. Il CSM definisce un elenco di idonei almeno triplo dei posti da coprire. La mancata estrazione non impedisce la partecipazione a successivi interpelli.”

L’art. 32, co. 1 della legge 24 marzo 1958, n. 195 è sostituito dal seguente:

“Art. 32. (Durata della carica)

  1. I componenti elettivi del Consiglio superiore durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili anche ove abbiano ricoperto il mandato per un periodo inferiore a quello previsto dal presente comma.”

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