Emergenza? Non c’è più

Il vocabolario Treccani alla voce “emergenza” spiega: “L’atto dell’emergere …” e quindi figuratamente “… Circostanza imprevista, accidente … momento critico, che richiede un intervento immediato …”. L’emergenza è dunque un fatto che emerge improvvisamente nella realtà, un evento sgradevole o doloroso (accidente) imprevisto e imprevedibile, che determina un danno o una sofferenza e richiede l’assunzione di rimedi immediati per impedire che le sue conseguenze si aggravino e si amplino.
Il codice della protezione civile (d.lvo n. 1 del 2018) all’art. 7 fornisce una definizione indiretta della emergenza, coerente con il concetto dell’emergere improvviso. Utilizza il lemma introducendo l’istituto dello “stato di emergenza” che non è definito in sé, ma acquisisce un preciso significato nella descrizione dei tre livelli di esso previsti dallo stesso articolo. I livelli hanno un massimo comune denominatore costituito dall’essere le emergenze ivi rappresentate “connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”.
Il primo livello concerne emergenze fronteggiabili con mezzi ordinari dalle singole amministrazioni competenti (ordinariamente quindi con estensione comunale). Il secondo livello concerne quelle fronteggiabili con mezzi e poteri straordinari perché comportano l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni, e solitamente si tratta di emergenze a livello sub regionale ampio o regionale o interregionale ma non nazionale; il terzo livello concerne quelle di rilievo nazionale che a causa della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari.
I poteri straordinari sono le ordinanze di protezione civile, previste dall’art. 25, e i mezzi straordinari sono le disposizioni che esse possono contenere. Il Governo, infatti, può introdurre nella ordinanza qualsiasi disposizioni in deroga alle norme vigenti, però sempre nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, tra cui la Costituzione, e delle norme dell’Unione europea. Inoltre, per ulteriore garanzia, esse devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate sul punto.
Ulteriore elemento in comune è la temporaneità degli interventi adottati sul presupposto dello stato di emergenza. Presupposto è un fatto la cui esistenza o inesistenza condiziona l’esistenza, la inesistenza o anche il contenuto, di un fatto successivo. Se manca il presupposto “fatto A” il conseguente “fatto B” non si può avere.
Lo stato di emergenza, che sia stato debitamente dichiarato, funge da presupposto per l’adozione di questi strumenti amministrativi.
Nel diritto pubblico, la mancanza del presupposto di un provvedimento amministrativo ne provoca la illegittimità e quindi l’annullabilità da parte del Giudice Amministrativo.
Orbene, è l’emergenza il presupposto di fatto dei successivi provvedimenti e non l’evento. Questo perché non è emergenziale tanto l’evento in sé, quanto lo sono le modalità della sua manifestazione. Esso è improvviso, imprevisto, e imprevedibile e immediatamente dannoso. Per questi motivi richiede soluzioni immediate per ciò stesso temporanee. Esse devono operare, infatti, solo fino a tamponare rapidamente la situazione dannosa o pericolosa. Raggiunto lo scopo contingente e limitato, il principio costituzionale della loro temporaneità (indicato dalla Corte Costituzionale e ricordato dalla Presidente Cartabia nella sua intervista al Corriere del 29 aprile scorso assieme ai principi di necessità, proporzionalità, ragionevolezza e bilanciamento) impone che tali strumenti straordinari lascino il posto agli strumenti amministrativi e legislativi ordinari. In altre parole che ai poteri straordinari di ordinanza di protezione civile, si sostituiscano i normali provvedimenti amministrativi autorizzati dalle ordinarie leggi e senza alcuna deroga o eccezione alla legislazione primaria.
Per addivenire a un paragone, possiamo dire che l’emergenza è come l’insorge della fase acuta di una malattia; ad essa può subentrare uno stato cronico, ove la malattia è la medesima ma non è più in fase acuta.
Chiunque comprende che come le medicine saranno diverse nelle due fasi, anche gli strumenti amministrativi sono diversi, e a quelli straordinari devono necessariamente sostituirsi quelli ordinari.
Diciamo “devono” perché la sostituzione non è nella libera scelta del Governo. Essa è obbligatoria per legge (si è visto che l’art. 7 definisce temporanee tutte le misure anti emergenza) e per i principi costituzionali, non solo quelli citati dalla Presidente Cartabia. Viene in questione, infatti, anche la intangibilità della Costituzione e la sua attitudine a costituire la protezione per i cittadini senza sospensioni o lacune. Infatti l’ordinanza di protezione civile, pur essendo solo un mero provvedimento amministrativo e non una legge tanto meno costituzionale, costituisce pur sempre una rottura della Costituzione laddove contenga norme derogatorie della legge ordinaria (per violazione della gerarchia costituzionale delle fonti) o direttamente della stessa Costituzione. Si tratta, cioè, di un atto per sé sempre in violazione, e assai grave, della Costituzione, tollerato dall’ordinamento giuridico in nome di un principio di salute pubblica (Necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem) solo in presenza del presupposto illustrato e quindi per un periodo limitatissimo e comunque non oltre il raggiungimento del fine proprio di tali atti straordinari.
Quando si può dire che le ordinanze di P.C. hanno esaurito il loro compito?
Il pensiero comune ritiene che l’emergenza duri per tutto il tempo per il quale durano le conseguenze dell’evento. Ciò è profondamente sbagliato. Sarebbe come affermare che l’emergenza causata da un terremoto duri sino a quando l’ultima casa distrutta è ricostruita e l’ultimo bene culturale restaurato. Queste sono le conseguenze (e possono durare anche decenni) ma non l’emergenza.
L’emergenza, e le conseguenti ordinanze di P.C., hanno significato solo fino a che si è posto rimedio alla impreparazione della macchina pubblica e privata causata da un evento inopinabile, inimmaginabile, improvviso, inaspettato. La malattia acuta, in una parola. Quando la situazione di danno, tamponate le prime conseguenze, diviene stabile, per quanto drammatica e grave sia, essa cessa di essere emergenza per divenire ordinarietà, conosciuta, prevedibile, da affrontare con gli strumenti ordinari dell’ordinamento giuridico.
Il presupposto di fatto, è venuto meno e con esso il potere straordinario.
Che il presupposto di fatto della emergenza sia venuto meno è constatazione quotidiana. La situazione della sanità pubblica nei mesi da febbraio in avanti si è presentata con caratteri di vera tragedia greca. Altissimo il numero dei positivi, dei ricoverati anche in terapia intensiva, dei morti. Insufficienza conclamata delle strutture sanitarie a fronteggiare un numero imprevedibile di malati e così via. Oggi la situazione è chiaramente diversa. Tutti i numeri epidemiologici sono a livelli notevolmente più bassi di quel periodo. Gli epidemiologi ci invitano a non allentare le misure perché temono, o prevedono, una possibile ripresa della pandemia con picchi analoghi a quelli già vissuti. Il futuro riposa sulle ginocchia di Dio, ma è ragionevole pensare che il pericolo vi sia. Ma appunto, da un punto di vista giuridico, è un pericolo, cioè la probabilità di un evento futuro che non sarà, a quel punto, inopinabile, inimmaginabile, improvviso, inaspettato, ma anzi ragionevolmente, se non atteso, paventato.
La gravità delle conseguenze deve spingere il governo ad assumere misure di contenimento che contrastino la tendenza alla ripresa, e dovrà anche predisporre la macchina sanitaria per reggere un eventuale impatto come quello dei mesi di febbraio aprile, ma tutto ciò, all’evidenza, è ordinarietà, tragica routine, ma non emergenza giuridicamente intesa.
Ciò non ostante, la rottura costituzionale prosegue tra l’indifferenza di chi dovrebbe vigilare sulla costituzione e l’incomprensione dei ben pensanti, tra la paura che, se non è ben metabolizzata, è cattiva consigliera e la tendenza ad affidarsi acriticamente alla scienza, che pure in questo frangente non ha dato ottima prova di sé.
In ciò aiutata dalla evidentemente studiata rarefazione della diffusione dei dati pubblici, al rifiuto di fornirli totalmente e per intero, tanto da rendere la paura ancora più angosciante perché oscura, evidentemente con un sapiente e ben dosato gioco comunicativo.
Credo sia giunto il momento di sostenere forte e chiaro che qualunque proroga dello stato di emergenza, nella attuale situazione, costituisce violazione patente della Costituzione perché il presupposto non esiste più, con tutte le conseguenza del caso sulla legittimità delle ordinanze (anche regionali perché si basano anche esse sul presupposto dell’emergenza) e sulle responsabilità personali.
Sia chiaro, non ci iscriviamo nel novero dei negazionisti; non sosteniamo la inutilità delle misure adottate; non sottovalutiamo la gravità della situazione. Anche un tale atteggiamento vorrebbe dire non metabolizzare la paura e semplicemente scappare negando la realtà, come gli struzzi. Ma appunto nessuno può sfruttare le nostre paure per rendere questa nostra Repubblica una democrazia autoritaria, cioè una non democrazia.
Insomma basta! L’emergenza non c’è più.

Claudio Zucchelli – Presidente Aggiunto Onorario del Consiglio di Stato

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