Spunti per una discussione sul finanziamento di Università e ricerca

Vincenzo Barone, Professore Ordinario di Chimica-Fisica, Scuola Normale Superiore, Pisa Michele Ciavarella, Professore Ordinario di Progettazione Meccanica, Politecnico di Bari Libero Manna, Senior Scientist, IIT Genova

In questi giorni si sono susseguiti numerosi appelli ad utilizzare parte del Recovery Fund per incrementare gli investimenti del nostro paese per l’istruzione universitaria e la ricerca. E’ importante nel contempo delineare le linee di sviluppo che si intendono privilegiare ed il modello di sistema universitario che si intende proporre. A nostro avviso il punto centrale è quello di integrare un finanziamento diffuso dell’attività di ricerca di livello medio-alto con il finanziamento di grandi progetti strategici e di eccellenze assolute a livello internazionale, esattamente come proposto in una recente petizione di TIS Apulia (https://www.change.org/p/sergio-mattarella-appello-per-il- finanziamento-della-ricerca-di-base). In questo quadro si inserisce il tema della promozione dell’attività e delle carriere dei più giovani, un problema endemico del nostro sistema. Senza voler essere esaustivi, ci pare che i caposaldi di una visione a medio-lungo termine possano essere:

  1.  Un incremento del fondo ordinario di Università ed Enti di Ricerca per permetterne il corretto finanziamento ordinario. In questo caso, come negli altri analizzati sotto, ci sembra che il punto discriminante non siano le regole sempre più stringenti per ottenere il finanziamento, ma, piuttosto un rigoroso controllo dei risultati ottenuti. In sostanza, a fronte di un finanziamento iniziale diffuso, dopo un congruo periodo di tempo (l’aggettivo congruo è discriminante) l’incremento (o diminuzione) dei finanziamenti stessi dovrebbe essere legato alla verifica dei risultati ottenuti
  2.  Una politica per i giovani: nuove posizioni bandite con continuità sia indipendenti, sia che permettano l’inserimento in gruppi di ricerca già esistenti. Infatti, a seconda delle discipline, l’indipendenza nella ricerca può essere raggiunta in fasi diverse, se non addirittura molto tardi, in progetti coordinati di ampio respiro. Anche in questo caso, massima flessibilità all’ingresso e controllo rigoroso in itinere sono imprescindibili.
  3.  La promozione della mobilità soprattutto in relazione alle progressioni di carriera fornendo finanziamenti adeguati per l’inizio delle attività nella nuova sede, assieme ad altri incentivi.
  4.  Un finanziamento diffuso per l’attività di ricerca (soprattutto di base) di ricercatori che superino dei criteri non troppo stringenti (ad esempio quelli delle abilitazioni nazionali) e, ancora una volta, controllo rigoroso dei risultati.
  5.  Un finanziamento periodico di progetti strategici condotti da più gruppi in collaborazione a livello nazionale (PRIN) e di progetti di assoluta eccellenza proposti da singoli ricercatori (sul modello degli ERC). Anche qui controlli rigorosi sullo svolgimento del progetto sono indispensabili.
  6.  La creazione di grandi centri strumentali gestiti anche in collaborazione tra Università ed Enti di Ricerca ed accessibili a tutti i ricercatori.

Ovviamente molti altri aspetti vanno considerati, ma noi crediamo che l’integrazione di queste proposte con altri strumenti permetterà di coniugare la libertà di ricerca e istruzione, sancita anche dalla Costituzione, con uno sviluppo efficiente, sostenibile ed attento anche alla qualità della vita. Solo in questo modo sarà possibile superare la sconfortante realtà attuale in cui viene pagato lo stipendio a ricercatori che non sono poi posti nelle condizioni di condurre alcuna attività di ricerca, raggiungendo un obiettivo diametralmente opposto a quello sotteso dall’idea diffusa (ed errata) che concentrare i finanziamenti permetta di evitare gli sprechi. Il Recovery Plan rappresenta dunque un’occasione unica e irripetibile per porre rimedio a queste storture e rilanciare il nostro paese come un attore di primo piano nella ricerca internazionale.

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