SARS-CoV-2 nell’ambiente terrestre con particolare attenzione ai rischi per la salute umana e per l’ambiente

di Giacomo Pietramellara – Professore Ordinario Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali, Università degli Studi di Firenze
e Paolo Nannipieri – Professore Emerito, Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali, Università degli Studi di Firenze

I suoli possono essere infettati da SARS-CoV-2 perché possono essere raggiunti da aerosol infetto, e nel caso di quelli agrari, anche a causa dell’impego di acque di scarico per irrigazione, uso di concimi organici come i fanghi di depurazione o di altri fertilizzanti infetti. A questo riguardo è importante anche la locazione del suolo perché le probabilità di infezione sono maggiori qualora sia localizzato vicino ad attività che hanno a che fare con il virus, ad esempio suoli in aree infette o suoli vicino a case di riposo per anziani od ospedali. Il SARS-CoV-2 può essere classificato tra gli agenti infestanti che possono trovarsi nel suolo per cause accidentali e si distinguono da quelli che invece possono compiere il loro ciclo nel suolo, definiti “soil-borne pathogens”. La contaminazione nel suolo può raggiungere anche l’apparato digestivo dell’uomo nel caso di impiego di prodotti freschi (ad esempio, prodotti orto-frutticoli), anche se alcuni dati su alcuni virus, quali quello dell’epatite A contaminante gli spinaci, abbiamo evidenziato una bassa contaminazione nonostante la loro presenza fosse stata riscontrata nel suolo. Tuttavia altri dati hanno dimostrato una pericolosa infezione della lattuga, cipolle e crescione da parte dell’adenovirus e del virus della epatite A in suoli contaminati dove queste piante erano crsciute. Come discuteremo in seguito i virus possono essere trattenuti nel suolo perché assorbiti da alcune particelle solide molto reattive quali i minerali argillosi e le particelle organiche. Non sappiamo se la pianta può desorbire questi virus dalle particelle solide sui cui essi sono adsorbiti. La pianta può impiegare sino al 30-40 % dei composti organici prodotti dalla fotosintesi rilasciandoli come composti organici attraverso la radice per diversi scopi: i) rendere disponibili e quindi assorbibili da parte della pianta nutrienti che non sono disponibili. Ad esempio la pianta, rilascia acidi organici in modo da solubilizzare i fosfati precipitati come fosfati di calcio; oppure rilascia dei composti, fitosiderofori, che complessano il ferro e lo rendono disponibile alla pianta; ii) per comunicare con la popolazione microbica del suolo che è tra quelle con una più alta diversità a livello globale. Nella navigazione attraverso il suolo, la radice incontra specie microbiche favorevoli alla crescita della pianta ma anche specie microbiche sono patogene. I rilascio di alcuni composti organici da parte della radice serve ad iniziare un colloquio molecolare con le specie benefiche ed evitare l’attacco delle specie patogene. Un esempio di colloquio molecolare è quello che si ha tra una leguminosa ed i rizobi, batteri che infettano le radici delle leguminose con la creazione di tubercoli radicali (piccole protuberanze visibili nella radice che è possibile vedere in primavera, ad esempio, prendendo una piantina di trifoglio da un prato) nei quali avviene la fissazione dell’azoto, cioè la conversione dell’azoto atmosferico in ione ammonio, dal quale vengono sintetizzati poi gli amino acidi. L’uomo è capace di effettuare la conversione dell’azoto atmosferico in ammonio con un processo industriale che richiede alte temperature ed alte pressioni, cioè un notevole consumo di energia. Nelle radici infettate da questi rizobi il processo avviene alla pressione e temperatura ambientale. Il colloquio molecolare parte dal rilascio della pianta di alcuni composit (flavonoidi) che una volta raggiunto il rizobio che si trova nel suolo, attivano dei geni per cui il rizobio rilascia delle sostanze che una volata raggiunta la radice, inducono delle modificazioni tali da accettare la infezione del rizobio e da permettere la sua entrata nella radice. Si tratta quindi di scambi di sostanze tra radici e rizobi e per questo si parla di colloquio molecolare.

Si ipotizza che le piante possono rilasciare i virus dalle particelle nelle quali sono assorbiti mediante il rilascio di alcuni essudati radicali. I virus possono entrare nella radice attraverso delle ferite oppure negli spazi che si creano nella fase di elongazione radicale a causa della mancanza di connessione tra la radice laterale che sta emergendo e la parete radicale. Una volta entro la radice il virus può essere trasportato alle parti edibili della pianta attraverso il floema. Il movimento inverso può avvenire attraverso lo xilema per i virus che infettano la foglia. Gli effetti delle piante sui virus presenti nel suolo, come l’entrata dei virus ed il loro movimento all’interno della pianta sono temi sconosciuti e quindi necessitano di ricerca.

Sebbene i virus possano raggiungere lo stomaco, le condizioni acide dello stesso e la presenza di proteasi e nucleasi nel tubo digerente possono distruggere il virus, composto da proteine ed acidi nucleici. Tuttavia il SARS-CoV-2 è stato trovato nelle feci dell’uomo e ciò può essere spiegato dal fatto che il virus possa entrare nella parte finale dell’intestino, ed evitare l’attacco delle proteaasi e nucleasi. Questo processo dipende dal tipo di suolo poiché le maggiori probabilità avvengono in un suolo sabbioso piuttosto che in un suolo argilloso od in uno organico. Infatti sia i suoli argillosi che quelli organici presentano particelle con cariche positive e negative che possono interagire con le cariche opposte della superfice virale. Nei suoli organici inoltre sono presenti sulle superfici delle particelle parti idrofiliche ed idrofobiche che consentono le interazioni con le parti idrofiliche ed idrofobiche della superfice virale. Le interazioni elettrostatiche come quelle idrofobiche sono state studiate usando i principali componenti del suolo (ad esempio vari tipi di minerali argillosi) ed alcuni virus, tra i quali due batteriofagi della Escherichia coli, T7 e T1. Ad esempio il virus T7 veniva adsorbito maggiormente di quello T1 su due tipi di minerali argillosi, montmorillonite e kaolinite, che possono trovarsi nel suolo e la montmorillonite ha mostrato avere un adsorbimento maggiore della kaolinite verso i due virus. Il valore di pH è un altro fattore importante perché alcune delle cariche sulle particelle del suolo mutano di segno al variare del pH, diventando positive a valori acidi e negative a valori alcalini. Si ritiene che il desorbimento, e quindi il rilascio dei virus, sia favorito a valori di pH neutri od alcalini; perciò la contaminazione delle acque è potenzialmente maggiore nei suoli neutri od alcalini rispetto che in quelli acidi. Per fortuna si è dimostrato che alcuni virus possono perdere la infettività una volta che sono desorbiti, ma anche questo processo dipende dal tipo di suolo e dal tipo di virus.

La superfice del SARS-CoV-2 presenta parti idrofiliche e parti idrofobiche per cui le probabilità di interagire, e quindi di essere adsorbito, dalle particelle solide del suolo sono elevate. In particolare la capside presenta 4 proteine principali: “spike (S), membrane (M), envelope (E) e nucleocapside (N). La glicoproteina S è quella più esterna, ed quindi quella che può interagire con le particelle solide del suolo. Questa proteina presenta una parte idrofobica ed una parte idrofilica e quindi ha alte probabilità di interazione con le particelle del suolo. E’ importante studiare sia la interazione con le particelle del suolo ma anche la variazione di infettività una volta che il virus viene desorbito.

Infine un problema metodologico da risolvere è quello della determinazione del SARS-CoV-2 nel suolo. Sappiamo oggi che il metodo più accurato di determinazione delle cariche virali presenti nel suolo è quello basato sulla estrazione del DNA virale e della successiva misura mediante qPCR dopo amplificazione genica.

In conclusione ci sono molte probabilità che il SARS-CoV-2 possa raggiungere i suoli agricoli, specialmente quelli vicini a siti contaminati, oppure mediante l’impiego di acque di irrigazione o fertilizzanti contaminati. Successivamente il virus può raggiungere l’apparato digestivo dell’uomo attraverso il consumo di prodotti orto frutticoli freschi oppure le acque. E’ probabile che le cariche virali siano molto basse e quindi questo tipo di inquinamento sia potenzialmente basso. Tuttavia è necessario studiare il virus nel suolo, in particolare il suo adsorbimento e desorbimento e come questi processi influenzano la sua infettività, il suo movimento e la sua localizzazione nella matrice del suolo. Fondamentale è la sua determinazione nel suolo e quindi la necessità di mettere a punto un metodo accurato. Infine si deve studiare il ruolo della radice nel desorbire i virus dal suolo, l’entrata del virus nelle radici o nelle foglie ed il suo movimento attraverso la pianta.

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