Nell’ordinamento tributario italiano due sono le tipologie di imposte più rilevanti e che forniscono il maggior gettito: l’imposta sul reddito e quella sul patrimonio.
Il reddito è costituito dalla produzione di ricchezza derivante dal lavoro del contribuente (dipendente, imprenditore, società o professionista che sia) ed è un flusso per sé già sottoposto a tassazione progressiva. Parte del reddito è destinata al consumo, sia per il sostentamento del contribuente sia per la produzione di altro reddito. La parte non consumata è destinata invece alla accumulazione e va a costituire il patrimonio del soggetto.
Il patrimonio è quindi uno stock, costituito dalla parte di reddito non consumata e quindi tesaurizzata in denaro (sia depositato presso banca sia astrattamente conservato sotto il materasso), e da beni immobili e mobili (titoli, preziosi, beni rifugio come l’oro, diamanti etc.). Il patrimonio è, in sostanza, niente altro che il risparmio della persona, bene e valore in sé tutelato dalla Costituzione (art, 47).
Ne consegue già intuitivamente che, quindi, l’imposta che colpisce il patrimonio è iniqua, perché opera un doppio prelievo sul contribuente: il primo all’atto della percezione del reddito (con carattere di progressività per giunta), la seconda sulla medesima ricchezza prodotta, questa volta considerata come patrimonio.
Un esproprio immotivato, sostanzialmente, in termini familiari, una vera e propria rapina a casa dei contribuenti.
Un sistema orientato verso la tassazione del patrimonio si giustificava solo nelle economie ancora fortemente agricole e bassate sulla rendita. In essi, infatti, la manifestazione di ricchezza ai fini della capacità contributiva era costituita dalla proprietà dei beni e ricavata forfettariamente dal valore dei beni stessi, il quale variava, in una economia agricola, esattamente in funzione del frutto che se ne poteva trarre. In altri termini, il prodotto di essi, cioè il reddito che ne scaturiva, non era evidenziato per sé ma ritenuto dipendente e calcolabile indirettamente dal valore del patrimonio che lo aveva prodotto, anche perché questo valore di mercato variava in funzione della produttività reale del bene. Quindi il reddito era intercettato e tassato indirettamente attraverso la imposta sul bene patrimoniale che aveva contribuito a produrre.
Nelle società avanzate, viceversa, basate sulla produzione industriale e soprattutto terziaria, il patrimonio smette di costituire la vera manifestazione di ricchezza, sostituito dal frutto della produzione, appunto il reddito, sicché non è più necessaria la finzione di ritenere il reddito incorporato nel valore del patrimonio.
Allo stato odierno della economia dei paesi avanzati, l’imposta patrimoniale è quindi un residuo storico, mantenuto soprattutto attraverso la critica marxista al capitale e alla accumulazione di ricchezza, secondo la quale, sostanzialmente, la proprietà è un furto e l’accumulo di capitale (cioè di patrimonio) si oppone alla tendenza marxista alla proprietà comune (statale) dei mezzi di produzione tra cui, appunto, il capitale.
Tra i beni che costituiscono il patrimonio quelli immobiliari hanno, in questi ultimi decenni, attirato l’attenzione del sistema finanziario.
Il patrimonio immobiliare, e soprattutto quello destinato all’uso come abitazione principale o secondaria del contribuente, è interpretato dagli ambienti economici finanziari come una inutile, e quindi dannosa, immobilizzazione di capitale suscettibile solo di produrre limitata ricchezza corrispondente al valore d’uso degli stessi, o, al massimo, al loro valore locativo, se immobili non destinati all’uso personale.
L’attacco alla proprietà dei beni immobiliari è quindi recato principalmente dal mondo finanziario che vede in esso l’occasione per finanziarizzare l’immobile, creando intorno ad esso tutta la filiera dei mezzi finanziari (titoli e derivati) suscettibili di procurare utili alle grandi imprese.
Questa attenzione è stata riservata soprattutto al patrimonio immobiliare Italiano. Infatti, l’Italia vanta una altissima percentuale di proprietari di case, usate quale abitazione principale o secondaria e un altrettanto vasto numero di immobili destinati all’investimenti remunerativo (locazione). La prima destinazione copre circa il 75 % della popolazione con circa 40.470.000 immobili destinati ad abitazione primaria o secondaria, mentre gli immobili a uso remunerativo sono circa 5.700.000, secondo l’ultima rilevazione disponibile (dati OMI, 2018).
L’imposizione patrimoniale, quindi, è fortemente voluta e spinta dagli ambienti finanziari anche, e soprattutto attraverso gli organismi internazionali, tra cui il Fondo Monetario e l’UE. Una delle condizioni poste alla erogazione dei contributi del Recovery fund è, come è noto, la reintroduzione dell’IMU sulla prima casa cui si dovrebbe accompagnare la riforma degli estimi, propedeutica ad un aumento assoluto della base imponibile e quindi di gettito, e di pressione fiscale, pur ad aliquote invariate.
Le misure ipotizzate dal Governo costituiscono un cambio di paradigma del sistema fiscale italiano verso un ritorno alla imposizione patrimoniale.
Ciò non ostante che già oggi, attraverso le varie imposte patrimoniali quali l’IMU, il peso di tale tipo di imposte sia maggiore che nei Paesi occidentali. La pressione italiana nel 2018 era del 6,1% sul gettito complessivo contro la media dei paesi OCSE del 5,5. In Germania la pressione è al 2,7% del gettito complessivo.
Con la ventilata riforma si verifica un aumento del prelievo fiscale patrimoniale sugli immobili e, quindi, anche se la pressione fiscale dovesse rimanere invariata, si verificherebbe comunque un mutamento della politica fiscale generale oggi incentrata sul prelievo della imposta sul reddito, con le conseguenze negative che vedremo avanti.
L’invarianza, però, non si verificherà. Nonostante le promesse, il disegno di legge prevede un saldo attivo, cioè maggiori entrate per imposte e non contiene affatto l’unica misura che renderebbe l’aumento delle imposte patrimoniali vagamente giustificabile: vale a dire la contestuale drastica riduzione dell’imposizione diretta a invarianza di gettito.
Il Governo promette che la pressione fiscale cumulata non aumenterà, ma sono promesse da marinaio atteso l’indirizzo politico generale di questo esecutivo, ove predominante è l’ideologia statalista e interventista nell’economia cui non può non corrispondere un aumento del prelievo.
Questo Governo, composto in gran parte da tecnici, non è ignaro delle conseguenze macro- e microeconomiche dell’uso della fiscalità’ patrimoniale. Esso però risponde, quasi eterodiretto, ai diktat della finanza internazionale veicolati dalle organizzazioni internazionali verso una finanziarizzazione del vasto patrimonio immobiliare privato italiano, vera terra di conquista per il redditizio mercato finanziario del real estate.
L’aumento della imposizione patrimoniale, concretamente, aumenta l’onere del proprietario, il quale, oltre ai costi di manutenzione e godimento, sopporta oneri fiscali non connessi alla utilizzazione dell’immobile, e quindi gravanti sulla proprietà ob rem, cioè indipendentemente dal suo godimento, e quindi anche svincolati da una reale capacità contributiva (art. 53 Cost.).
Ciò determina:
- La diminuzione della domanda di beni immobiliari
- L’aumento della offerta per la propensione a liberarsi di un bene la cui sola proprietà’ rappresenta un costo non sopportabile;
- Il conseguente calo del valore dell’immobile;
- L’accaparramento del bene svalutato da parte delle imprese di real estate.
Sotto un profilo più’ squisitamente politico, la pressione patrimoniale contrasta nettamente con il principio espresso dall’art. 47 della Costituzione, il quale espressamente impegna la Repubblica ad incoraggiare e tutelare il risparmio in generale (comma 1) e addirittura a favorire l’utilizzazione del risparmio per l’acquisto della casa di abitazione (comma 2).
Due sono quindi gli obbiettivi costituzionali programmatici che vincolano gli interventi di politica economica e fiscale:
1. In primo luogo la tutela del risparmio, cioè a dire del reddito duramente guadagnato, ma non speso, con sacrificio di rinunce personali e in quanto ricchezza accumulata per far fronte a bisogni futuri, anche accrescendone il valore mediante un investimento redditizio.
La tutela e l’incoraggiamento al risparmio, tutelato dalla Costituzione, si oppone a misure legislative che impediscano o rendano più difficile il raggiungimento dei due obbiettivi del risparmio:
A) La conservazione del capitale e la sua difesa dalla svalutazione e dalle crisi economiche;
B) L’aumento del capitale stesso attraverso la naturale fruttuosità” del denaro o il suo utilizzo in attività produttrici di reddito.
Per entrambi i fini, sia per la obbiettiva stabilità di un bene durevole quale quello immobiliare, sia per l’influenza di millenari valori culturali, il bene immobile è considerato nella cultura italiana come il bene rifugio per eccellenza, capace di coniugare insieme la certezza del mantenimento del valore patrimoniale, la bassa rischiosità dell’investimento redditizio immobiliare (locazione) unite alla disponibilità esclusiva di un bene considerato essenziale da millenni, quale la abitazione di proprietà,
Sotto il profilo lucrativo, l’allocazione del risparmio in immobili diviene recessiva dinanzi alla favorevole imposizione fiscale delle rendite finanziarie, per le quali, tra l’altro, si può tenere conto anche delle eventuali perdite, a differenza che ai fini della imposta patrimoniale.
Scoraggiare l’investimento immobiliare attraverso la tassazione patrimoniale del bene finale, quindi, non solo significa non tutelare il risparmio, ma anche deprimerlo, impedendo che esso si orienti verso le sue forme considerate migliori dalla società aperta, con atteggiamento squisitamente dirigista e occhiutamente impositivo.
2. A ciò si aggiunga il secondo valore protetto dall’art 47, cioè la finalizzazione del risparmio all’acquisto del bene essenziale costituito dalla casa di abitazione.
La pressione fiscale, unita alla incertezza degli sviluppi tributaria relativi a un bene ormai considerato dal Fisco come il bancomat dell’erario, renderebbe economicamente più conveniente non acquisire la propria casa di abitazione ma ricorrere all’affitto, frustrando così l’obbiettivo-valore prefissosi dal Costituente.
Claudio Zucchelli – già presidente di sezione Consiglio di Stato