Gli equivoci dello sciopero “generale” del 17 novembre 2023

Fiorella Lunardon, ordinaria di diritto del lavoro all’Università di Torino

Lo sciopero proclamato dalle Confederazioni nazionali di CGIL e UIL per il giorno 17 novembre 2023 contro la legge di bilancio non è stato uno sciopero “generale”. Tale definizione, non presente nella legge n. 146/1990 sull’esercizio del diritto nei servizi pubblici essenziali, è opera dell’attività interpretativa della Commissione di Garanzia, autorità amministrativa indipendente, composta da 5 membri designati congiuntamente dai due Presidenti delle Camere fra “esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni industriali”, alla quale è devoluto il compito, tra l’altro, di controllare il rispetto delle regole poste dalla menzionata legge da parte dei diversi protagonisti del sistema sindacale.

Lo sciopero “generale” consiste in un’astensione dal lavoro con finalità non contrattuali proclamata per tutte le categorie (pubbliche e private) ed è dotato di una disciplina ad hoc, di maggior favore per i soggetti proclamanti, consentendo la deroga alle regole legali della c.d. “rarefazione oggettiva” (divieto di astensione contemporanea in settori che prestino servizi alternativi), e del preventivo esperimento delle procedure di raffreddamento e conciliazione. Nel tempo si è aggiunta la deroga alla regola, introdotta convenzionalmente in alcuni settori, per cui la durata della prima astensione collettiva non può essere superiore a quattro ore.

Di fronte allo sciopero proclamato dai sindacati per l’intera giornata del 17 novembre e con esclusione di numerosi settori (una quindicina, tutti puntualmente elencati nella delibera dell’8 novembre u.s.), la Commissione non ha potuto che riconoscerne la natura plurisettoriale – non generale – e di conseguenza l’equiparazione a qualsiasi altro sciopero, soggetto a tutte le regole di cui alla legge n. 146/1990 (come modificata dalla legge n. 83/2000).        

La Commissione ha di conseguenza segnalato ai sindacati il mancato rispetto della regola “della rarefazione oggettiva” (con riferimento alla disciplina legale generale) e della “durata massima di quattro ore per la prima azione di sciopero” (con riferimento alle discipline di settore), invitandoli ad “escludere dallo sciopero i settori del Trasporto aereo e dell’Igiene ambientale” e a “ridurre la durata dell’astensione nei limiti consentiti” per i settori del Trasporto aereo, ferroviario, pubblico locale, elicotteri, merci su rotaia, sicurezza stradale.

Il primo equivoco è quello in cui è incorso il sindacato pensando di essere il depositario della qualificazione dello sciopero, anche contro il dato oggettivo dell’esclusione di numerosi ed eterogenei settori.

Il secondo equivoco si è poi consumato quando Cgil e Uil, in risposta alla richiesta di “rimodulazione” delle astensioni programmate, hanno confermato la proclamazione dello sciopero “generale” e le sue modalità di svolgimento (con durata superiore alle 4 ore), disconoscendo l’autorità delle Commissione di Garanzia (che discende direttamente dalla legge) e rilevando l’assenza, in delibera, di qualsiasi indicazione delle basi normative su cui poggerebbe la decisione che non si tratta di sciopero generale.

In tal modo le organizzazioni sindacali hanno dimostrato di ignorare che nella legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali non esiste alcuna distinzione tra sciopero generale e non e soprattutto che se c’è un soggetto cui la legge devolve la valutazione della legittimità dello sciopero questo è proprio la Commissione, configurata come organismo neutro o “terzo”, e non certo il sindacato che è una delle parti del conflitto.

Nell’insistenza sulla durata lunga delle astensioni (pur essendosi adeguati alla richiesta di esenzione del comparto del trasporto aereo), il Ministro Salvini ha adottato lo strumento della precettazione finalizzato ad imporre le previste “limitazioni orarie” (quattro ore, 9.00-12.00). Trattasi di un potere che, seppur normalmente su richiesta della Commissione, può essere esercitato anche su iniziativa unilaterale del ministro stesso, sol che ricorra “un fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati … cagionato dall’interruzione o alterazione del funzionamento dei servizi pubblici”.

Sulla precettazione si è consumato il terzo equivoco, avendola i sindacati etichettata quale atto di forza, meramente politico quando invece è chiaro che è compito del Ministro intervenire a difesa dei diritti costituzionali, specie a fronte di uno sbandierato rifiuto dell’invito (formulato dalla Commissione) a rientrare nei confini della legalità.

Si ricorda che in caso di violazione della delibera della Commissione i sindacati rischiano la sospensione dei permessi sindacali retribuiti o dei contributi sindacali comunque trattenuti dalla retribuzione, o entrambi, per la durata dell’astensione. E comunque per un ammontare economico complessivo non inferiore a 2.500 euro e non superiore a 100mila euro, tenuto conto della consistenza associativa, della gravità della violazione, della eventuale recidiva e della gravità degli effetti dello sciopero sul servizio pubblico. Le stesse organizzazioni sindacali possono inoltre essere escluse dalle trattative alle quali partecipano per un periodo di quattro mesi.

In caso poi di mancata ottemperanza all’ordinanza di precettazione, i sindacati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 a 50mila euro per ogni giorno di inosservanza, a seconda della consistenza dell’associazione sindacale e della gravità delle conseguenze dell’infrazione. I singoli lavoratori invece sono soggetti a sanzione amministrativa pecuniaria, sempre per ogni giorno di mancata osservanza, determinabile, in relazione alla gravità dell’infrazione e alle condizioni economiche del lavoratore, da un minimo di 500 euro a un massimo di 1000 euro. Tali sanzioni sono irrogate con decreto della stessa autorità che ha emanato l’ordinanza e sono applicate con ordinanza-ingiunzione della direzione provinciale del lavoro.

Landini ha dichiarato che contro la menzionata ordinanza è già in itinere un ricorso. E’ pertanto lecito immaginare che lo scontro proseguirà all’interno di un’aula giudiziaria ed è sperabile che in tale sede non continui la sequenza degli equivoci che finora ha scandito l’intera vicenda conflittuale.

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