Una strategia internazionale per un nucleare sostenibile

Marco Ricotti
Professore ordinario di Impianti Nucleari del Politecnico di Milano

I segnali di ripresa a livello globale dell’interesse verso l’energia nucleare sono stati recentemente certificati alla CoP 28 di Dubai. Per la prima volta in questo consesso, infatti, l’atomo è stato posto all’attenzione del mondo come strumento per il contrasto del riscaldamento globale, in due occasioni.

La prima, nel documento conclusivo che fa il punto del percorso delle CoP da Parigi 2015, il First Global Stocktake[1]: il testo cita esplicitamente la necessità di “accelerare nelle tecnologie a zero e a basse emissioni, tra cui, inter alia, energie rinnovabili, nucleare, tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura del carbonio e utilizzo e stoccaggio”.

La seconda, nella dichiarazione[2] firmata da 22 Paesi, i quali auspicano che si triplichi entro il 2050 la potenza nucleare oggi installata e pari a circa 371 GWe, prodotta da 413 reattori distribuiti in 32 nazioni. La dichiarazione è stata proposta dagli Stati Uniti e ha visto l’adesione di una compagine articolata: gli altri Paesi del G7 (Canada, Corea del Sud, Francia Giappone, Regno Unito) tranne l’Italia, un nutrito elenco di nazioni europee (Bulgaria, Croazia, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia), un gruppo di paesi variegato e in buona parte interessati a entrare nel club nucleare (Armenia, Ghana, Giamaica, Moldova, Mongolia, Marocco), infine l’Ucraina e i padroni di casa degli Emirati Arabi Uniti, divenuti nazione nucleare nel giro di un decennio. A rafforzare questa linea in modo sostanziale ma non formale, Cina e Russia: per evidenti motivi geopolitici non hanno siglato la dichiarazione, ma sono certamente i principali attori di questo scenario futuro, rappresentando il nuovo baricentro mondiale del settore nucleare, coinvolti nella realizzazione, in casa propria e all’estero, di ben 39 nuovi reattori sui 58 in costruzione nel mondo (quasi il 70%).

Anche in Europa non mancano tracce nella stessa direzione.

In primis la nascita, poco meno di un anno fa (28 febbraio 2023), della European Nuclear Alliance, voluta dalla Francia e oggi partecipata da 14 Paesi (oltre a quelli della dichiarazione di Dubai, anche Belgio ed Estonia), con l’Italia in veste di osservatore e il Regno Unito in quella di invitato.

L’obiettivo dichiarato è di passare in Europa dagli attuali 100 GWe installati a 150 GWe entro il 2050: questo significa garantire l’estensione di vita per molti tra i 100 reattori oggi funzionanti, passando dai normali 40 anni di funzionamento autorizzato a 60 e oltre, nonché la costruzione tra 30 e 45 nuovi reattori di grande taglia (oltre i 1000 MWe) in aggiunta allo sviluppo e la realizzazione di Small Modular Reactors (SMR). In tal modo l’Europa manterrebbe circa il 25% di elettricità prodotta con il nucleare nel 2050, mentre oggi rappresenta la prima fonte energetica decarbonizzata in UE con il 21,9%, prima di eolico (15,9%) idroelettrico (11,3%) e fotovoltaico (7,6%).

Un ulteriore indizio sarà fornito, verosimilmente all’inizio del 2024, dall’avvio della EU SMR Industrial Alliance, una iniziativa in gestazione dal 2021 per rispondere al crescente interesse sui piccoli reattori modulari e supportata dalla Commissione Europea, preoccupata per il ritardo col quale il Vecchio Continente stava rispondendo allo sforzo delle principali nazioni (Cina, Russia, Stati Uniti su tutte) circa lo sviluppo di questa nuova tecnologia. L’azione sarà dedicata allo sviluppo delle soluzioni modulari innovative e alla creazione di una supply chain condivisa. L’annuncio è stato dato direttamente dal commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, durante la World Nuclear Exhibition di Parigi a fine novembre scorso, a ridosso della dichiarazione della sua collega e commissaria per l’Energia, Kadri Simson, a sostegno dello sviluppo dell’alleanza industriale sui piccoli reattori modulari, in occasione del sedicesimo Forum europeo sull’energia nucleare di alcuni giorni prima a Bratislava.

Il terzo indizio potrebbe essere l’approvazione, nei primi mesi del 2024, del ‘Net-Zero Industry Act’, proposto nel febbraio 2023 dalla Commissione Europea, quale risposta all’enorme mole di sussidi sulle industrie delle tecnologie ‘green’ dell’Inflation Reduction Act statunitense. La proposta iniziale della Commissione aveva escluso, per motivi politici, il nucleare dalla lista delle tecnologie strategiche per la decarbonizzazione da sviluppare in Europa, che avrebbero dovuto essere selezionate in base al grado di maturità tecnologica, al contributo fornito alla decarbonizzazione e alla competitività, alla resilienza del sistema energetico. La lista risultante era invece limitata a i) solare fotovoltaico e termico, ii) elettrolizzatori e celle a combustibile, iii) eolico onshore e offshore, iv) biogas, v) batterie e stoccaggio, vi) cattura e stoccaggio della CO2, vii) pompe di calore e geotermia, viii) tecnologie di rete. L’obiettivo è quello di avere nel 2030 in Europa la capacità di fabbricare il 40% del proprio fabbisogno annuale di tecnologie strategiche. Le decisioni del Parlamento prima e del Consiglio poi, hanno però allargato la lista di tali tecnologie, includendo il nucleare e i combustibili alternativi sostenibili. Ora il testo finale andrà concordato nei colloqui a tre Commissione-Consiglio-Parlamento.

La legge arriverebbe comunque in notevole ritardo rispetto alle politiche energetiche dettate negli anni passati dall’Europa attraverso il ‘Green Deal’: la grave debolezza e dipendenza strategica e geopolitica dell’UE, drammaticamente rivelatesi da fine 2021 e dall’inizio della guerra in Ucraina, nonché il sostanziale monopolio della Cina circa materie prime critiche, terre rare e componenti, indispensabili per la transizione ecologica e quella digitale, avrebbero dovuto spingere la Commissione, prima ad assicurare adeguate capacità industriale e resilienza interne, poi a implementare politiche così aggressive e vincolanti sulla decarbonizzazione, ad oggi dedicate esclusivamente alle rinnovabili e non ispirate ad una più ragionevole ed efficace/efficiente neutralità tecnologica.

Ma questo rinnovato interesse sul nucleare potrebbe rimanere pura intenzione, se non darà luogo a passi operativi e concreti verso lo sviluppo di una reale strategia nucleare europea, fatta di progetti di sviluppo e di costruzione compartecipati e condivisi, sia sull’estensione di vita delle centrali in funzione da decenni sia sulle nuove tecnologie, anche attraverso la realizzazione di una vera filiera industriale nucleare continentale.

Su quest’ultimo aspetto, pure l’Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista.


[1] UN COP 28, Summary of Global Climate Action at COP 28.

[2] UN COP 28, First Global Stocktake, Dubai, 13 dicembre 2023.

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