Domenico Rossi, generale, già sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito
Il 12 e 13 giugno u.s. Israele ha attaccato l’Iran con lo scopo dichiarato di bloccare il programma nucleare iraniano, avendo da sempre ritenuto che lo stesso non sia solo a fini civili pacifici ma anche finalizzato alla realizzazione dell’arma nucleare e tenuto conto che l’Iran persegue da sempre la distruzione dello Stato di Israele.
Un attacco che probabilmente ha trovato spunto anche dopo che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica aveva lanciato l’allarme sul raggiungimento iraniano di una certa percentuale di arricchimento dell’uranio, necessaria per raggiungere la produzione di un arma nucleare.
I raid militari hanno colpito non solo obiettivi e vertici delle forze armate iraniane, ma anche diversi scienziati che lavoravano al suddetto programma, al punto da far dichiarare all’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti: “Abbiamo rallentato in modo significativo il programma nucleare iraniano, ma non abbastanza”.
In tale contesto ,al di là del radicato legame con Israele, non è stato chiaro per diversi giorni quale fosse l’intenzione del Presidente degli Stati Uniti, che addirittura il 17 giugno aveva lasciato il summit del G7 in anticipo e aveva scritto sui social un messaggio esplicito: “L’Iran non può avere un’arma nucleare, l’ho detto più e più volte. Tutti dovrebbero evacuare Teheran immediatamente!”. Un messaggio più volte ribadito in numerosi post successivi su Truth, il suo social di riferimento, e commentato dall’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant in modo fiducioso: “Crediamo che gli Stati Uniti e il Presidente degli Stati Uniti abbiano il dovere di assicurarsi che la regione proceda in modo positivo e che il mondo non debba vedere l’Iran con una bomba atomica”.
Subito dopo però il Presidente Trump sembrava aprirsi verso possibili negoziati con l’Iran,al punto che il 19 giugno in un comunicato della Casa Bianca, aveva detto: “Dato che c’è una sostanziale possibilità di negoziati che potrebbero esserci o non esserci con l’Iran nel prossimo futuro, prenderò la mia decisione sull’andare o meno entro le prossime due settimane”.
Forse il momento decisivo è stato l’incontro del 20 giugno tra rappresentanti dell’Iran e di Germania, Francia, Regno Unito e Unione europea, conclusosi con un nulla di fatto, ferma restando la possibilità di incontri futuri,portando Trump a dichiarare “L’Iran non vuole parlare con l’Europa, vuole parlare con noi. L’Europa non potrà aiutare su questa cosa”. Trump si era poi astenuto dall’affrontare la questione fino al 22giugno in cui improvvisamente ha comunicato uno specifico attacco contro i tre siti nucleari iraniani (Fordow, Natanz e Arak).
Un attacco resosi necessario vista la configurazione dei siti e in particolare di quello di Fordow, troppo in profondità in una montagna del nord-ovest dell’Iran e quindi non raggiungibile se non con bombe particolari,in possesso solo dagli USA. L’attacco ribattezzato “Midnight hammer”, come illustrato dal capo di Stato maggiore Usa, il generale Dan Caine, è stato condotto da sette bombardieri B-2, che hanno utilizzato la bomba GBU-57 A/B “Massive Ordnance Penetrator”, nota come bunker buster Una bomba lunga 6 metri, pesante 14.500 chili in grado di penetrare un bersaglio fino a 60 metri di profondità per poi esplodere. A tale bombardamento si è unito un sottomarino della marina Usa nel Golfo Persico che ha lanciato oltre 20 missili Tomahawk.
Le dichiarazioni iraniane sono state durissime e la parola chiave è stata “vendetta”, sottolineando come “Eravamo al tavolo fino a quando Israele e poi gli Usa non ci hanno attaccati, sono loro che l’hanno fatto saltare in aria”.
Per esercitare questa vendetta diverse sono le opzioni a disposizione del governo iraniano, fermo restando che in passato molte minacce si sono rivelate nulle.
Una reazione blanda con attacchi mirati e limitati per significare come non siano accettabili attacchi al proprio territorio per poi però accettare di fatto la proposta americana di sedersi ad un tavolo negoziale mirando alla garanzia di potere portare poi avanti un programma nucleare per scopi pacifiici.
Gli obiettivi maggiori sono le numerose basi statunitensi nella regione, magari concentrandosi soprattutto su quelle che sono già state evacuate senza causare morti, come in altre occasioni.
Un appello alla lotta globale potrebbe essere mandato in tutte le direzioni agli storici alleati la Siria di Assad, Hamas, Hezbollah – che peraltro o non ci sono più o sono indeboliti, fermo restando che la Russia è impegnata in Ucraina e la Cina non sembra volersi far coinvolgere direttamente.
L’alternativa maggiormente rilevante è il blocco dello stretto di Hormuz, che avrebbe un impatto pesantissimo sul prezzo del petrolio ,considerando che l’attraversamento dello stretto è la rotta attraverso cui passa il 20/30% del rifornimento mondiale. Il Majlis, il Parlamento di Teheran, “è arrivato alla conclusione che lo Stretto di Hormuz debba essere chiuso, ma la decisione finale in merito spetta al Consiglio supremo di sicurezza nazionale”.
Chiaramente se la reazione iraniana dovesse uccidere dei cittadini statunitensi, bisognerà poi vedere il comportamento americano, con il pericolo che il conflitto possa estendersi e prolungarsi.
In ogni caso le prossime 48-72 ore sono quelle cruciali per eventuali azioni ritorsive iraniane, inclusi attacchi asimmetrici o blocchi strategici, in uno scenario imprevedibile, così come lo è stato l’attacco americano.
Varie le prese di posizione internazionali in generali tendenti ad evitare una escalation del conflitto. Ciò ad iniziare dai leader di Francia, Germania e Regno Unito, il cosiddetto formato E3, che hanno invitato l’Iran “a non intraprendere ulteriori azioni che possano destabilizzare la regione e ad impegnarsi in negoziati che portino a un accordo che affronti tutte le preoccupazioni relative al suo programma nucleare”.
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha sottolineato come: “L’Iran non deve assolutamente entrare in possesso della bomba. Con le tensioni in Medio Oriente che hanno raggiunto un nuovo picco, la stabilità deve essere la priorità. Il rispetto del diritto internazionale è fondamentale. È giunto il momento che l’Iran si impegni in una soluzione diplomatica credibile. Il tavolo dei negoziati è l’unico luogo in cui porre fine a questa crisi”.
Per quanto concerne l’Italia il Ministro degli Esteri Antonio Tajani si augura “che dopo questo attacco che ha portato un danno enorme alla produzione dell’arma nucleare, che rappresentava un pericolo per tutta l’area, si possa arrivare veramente a una de-escalation: l’Iran si sieda a un tavolo di trattative”.
Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, invita “tutte le parti alla moderazione e al rispetto del diritto internazionale e della sicurezza nucleare”. Ha ribadito che “la diplomazia resta l’unica via per garantire pace e sicurezza nella regione mediorientale” e ha avvertito che “troppe vittime civili rischiano ancora una volta di pagare il prezzo dell’escalation”.
Preoccupata dalla situazione in Medio Oriente anche l’Arabia Saudita e l’Oman fa appello a una de-escalation immediata, bollando il raid americano come “un’aggressione illegale che minaccia di ampliare la portata della guerra e costituisce una grave violazione del diritto”.
In sintesi, è chiaro che l’attacco americano era l’unico tecnicamente possibile per fermare o quanto meno rallentare il programma nucleare iraniano. La prossima mossa spetta all’Iran. Non c’è che da augurarsi che almeno questa volta l’uso della forza sia effettivamente propedeutico alla pace e che l’Iran comprenda come debba consentire controlli mirati e frequenti di evntuali programmi nucleari e non possa continuare ad essere il punto di riferimento finanziario di una serie di gruppi terroristici e anti occidentali.
Una soluzione negoziale contribuirebbe finalmente alla stabilizzazione dell’Area e al suo sviluppo sociale ed economico.
In caso contrario tutto è possibile fino alla ipotesi che per ora appare remota che è quella del cambio di regime in Iran. Obiettivo presumibilmente nascosto o non dichiarato di Israele e Stati Uniti. Determinante per dare risposte alla crisi in atto sinergiche e globali saranno i vertici nei prossimi giorni del Consiglio Europeo della Nato.