Le professioni liberali: una ricchezza di saperi da proteggere e promuovere nel “merito”

DI ANTONIO FUCCILLO
Professore Ordinario, Dipartimento di Giurisprudenza
Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

I problemi affrontati, nelle precedenti legislature, non hanno riguardato il tema del lavoro intellettuale. Le politiche legislative degli ultimi anni hanno infatti concentrato la loro attenzione sui lavoratori dipendenti e sulle imprese che certamente costituiscono una parte rilevante del tessuto economico italiano. Il Terzo Stato, quello dei professionisti intellettuali, sembrava non interessare a sufficienza. Le ragioni si nascondono nella tradizionale avversione che alcune forze politiche hanno nei confronti di chi, dopo una dura formazione e anni di sacrifici, vive del proprio sapere tecnico. Le professioni sono definite come “liberali” appunto perché espressione di quella borghesia attiva che costituisce una parte rilevante del “ceto intellettuale”, nonché l’architrave della c.d. classe media. Sono peraltro i professionisti ad alimentare i ruoli parlamentari proprio perché tradizionalmente formati all’autorganizzazione e al libero esercizio del proprio pensiero. Si è ritenuto erroneamente di poter accumunare le professioni intellettuali all’attività d’impresa. Esse certamente devono conformarsi nel loro esercizio a criteri organizzativi di tipo aziendalistico per poter competere nel mercato dei servizi. Non producono tuttavia merci o servizi fungibili e la loro collocazione ordinistica è strumentale al superamento delle asimmetrie informative tipiche di un mercato che tenga conto delle singole esigenze dei clienti.

La selezione dei professionisti infatti avviene attraverso il conseguimento di specifici titoli di studio, il superamento di esami di abilitazione o, nel solo caso dei notai che sono pubblici ufficiali, di un selettivo concorso. La loro attività deve svolgersi inoltre nel rispetto di rigorose regole deontologiche e di protocolli operativi posti a salvaguardia e tutela dell’utenza. Le professioni sono il luogo privilegiato ove si realizza la mobilità sociale e si valorizza la meritocrazia di cui tutti parlano ma solo pochi si interessano, si accoglie con favore, quindi, che il “merito” sia tra gli obiettivi di questo Governo.

I numeri dei professionisti in Italia sono considerevoli (1 milione e 400 mila), coprono in modo capillare il territorio nazionale, contribuiscono allo sviluppo economico della società e danno lavoro a moltissime persone.
È ovviamente necessario operare dei distinguo tra le singole professioni, tra ordinistiche e non, tra più o meno regolamentate e qualificate. La legge infatti richiede titoli ed esami diversi per raggiungere ciascuno dei ruoli professionali (un medico, ad esempio, si forma con 6 anni di laurea magistrale, 5 di specializzazione, e tirocinio, un notaio invece con 5 anni di laurea magistrale, 18 mesi di tirocinio e un difficile concorso) ciò non significa che ciascuna professione non abbia una propria identità e dignità e che debba essere protetta perché tutelati ne siano gli utenti.

L’eliminazione di tariffe minime di riferimento, le ventate liberiste senza senso, la disattenzione in una politica sociale e fiscale verso i professionisti li ha resi spesso i nuovi “proletari” della nostra consumistica società. Da baluardi della certezza e del sapere tecnico sono spesso condannati alla totale precarietà. Sono preoccupanti i dati che si registrano sugli abbandoni ed uscite dagli albi professionali (le cancellazioni degli avvocati, ad esempio, erano 5.160 nel 2019 e salite a 5.800 nel 2021). Le professioni liberali da occasione di riscatto e di crescita sociale per i giovani, sono diventate l’ultimo dei rifugi, quando non si riesce a raggiungere il mito del “posto fisso” o di un’occasione all’estero. La politica, quindi, deve risposte certe alle legittime aspettative di questo nobile esercito di persone che hanno fatto dello studio, del sacrificio e del proprio rischio la ragione di vita e che svolgono per i cittadini e l’utenza in generale un prezioso compito che sarebbe catastrofico non proteggere e promuovere, proprio nel solco della valorizzazione del merito.

L’Italia è il “paese di paesi” e non si può pensare solo ai grandi studi nelle mani di pochi, collocati nelle grandi città, ove una pletora di giovani vive tra finti tirocini e nuovi precariati. È bene invece che sotto ciascun campanile si possa sempre trovare il proprio medico, un buon farmacista, l’avvocato di famiglia, il fiscalista e il geometra che svolgono, in questi contesti, un importante ruolo a vantaggio di coloro che vi abitano. È necessario che la politica faccia in modo di preservare la grande ricchezza intellettuale che questi “saperi”, pur nella loro diversità, custodiscono e tramandano e che anche in essi realizza il progresso di una società moderna.

Si coglie quindi con favore l’apertura del nuovo Governo della Repubblica verso i temi della promozione e protezione del lavoro intellettuale con l’impegno di fornire reali strumenti di sana competizione ai professionisti, di rispetto del loro indefettibile ruolo nella società e di valorizzazione del sistema ordinistico quale presidio di qualità nei confronti dell’utenza.

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