Le ragioni dello spoil system. La politica e il quarto potere

Il così detto spoil system (letteralmente: metodo del bottino) è la pratica politica, nata negli Stati Uniti d’America nell’ottocento, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare del governo.

  1. L’antefatto e i presupposti

Lo spoil system è stato introdotto nel 2001, sostanzialmente quale reazione ai mutamenti introdotti negli anni ’90 del XX secolo nei rapporti tra P. A. e potere politico.

Nel sistema tradizionale il Ministro (o in genere il vertice politico), quale Giano Bifronte, era il capo politico ma anche il vertice amministrativo del dicastero o dell’ente.

Nella c.d. “amministrazione per atti”, la Burocrazia, aveva il compito di istruire e preparare lo strumento dell’amministrare, l’atto o provvedimento appunto, la cui esternazione era riservata al Ministro, che esercitava così il potere amministrativo reale.

Dagli anni ’90, si afferma un concetto diverso di azione amministrativa, fondata non più sugli “atti”, ma sui “risultati”.

Da qui la critica a quel modello, oggettivamente obsoleto, e alla conseguente concentrazione del potere amministrativo nelle mani di un “estraneo” alla Burocrazia: il Ministro.

La valorizzazione dei “risultati” piuttosto che dei mezzi, spinse a una summa divisio tra Ministro e Burocrazia, tra determinazione dell’indirizzo politico e amministrazione.

La canonizzazione di questo diverso modo di intendere l’” amministrare” si ebbe con l’art. 3 del d.l.vo 3 febbraio 1993, n. 29 (oggi abrogato e sostituito dall’art 4 del d.l.vo 30 marzo 2001, n. 165 di contenuto pressoché identico).

In tale norma si opera una netta cesura tra le funzioni del titolare dell’indirizzo politico-amministrativo (Ministro, Presidente etc.), cui spetta di definire gli obiettivi (politici) ed i programmi da attuare, nonché la verifica della rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali politiche e amministrative da un lato, e dall’altro quella dei dirigenti, cui spetta la gestione  finanziaria, tecnica e amministrativa, delle risorse umane e strumentali, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione e l’adozione di tutti gli atti  che  impegnano l’amministrazione verso l’esterno, rimanendo responsabili della gestione e dei relativi risultati.

Tutto ciò in teoria, è tutt’altra impresa quando si tenti di discernere nella realtà tra indirizzo ed esecuzione e tra gli effettivi titolari della funzione rispettiva.

  1. Le conseguenze della separazione tra indirizzo politico e amministrazione

Ai fini della nostra riflessione, due sono le conseguenze rilevanti di questa rinnovata impostazione.

La prima, che si rafforza il potere autoreferenziale della Burocrazia all’interno della funzione pubblica, diventando autonomo e indipendente, titolare di interessi propri e dotato della capacità necessaria a soddisfarli, situazione ben evidenziata dagli studi di Max Weber.

La seconda conseguenza è che la responsabilità politica del Ministro o Presidente finisce per dipendere esclusivamente dalla efficacia della azione amministrativa, sulla quale egli non ha però poteri incisivi. Di indirizzo, ma non di ordine quanto alla concretezza dell’azione amministrativa.

Corollario di ciò è che il rapporto di agenzia Politica/Burocrazia non si atteggia, come si vorrebbe, come rapporto da mandante (principale) a mandatario esecutore (agente), come avveniva nel sistema antico, ma sconta le dinamiche proprie di un rapporto tra pari. Infatti, in esso entrambe le parti perseguono propri interessi in posizione di perfetta parità: l’uno il raggiungimento dell’obbiettivo politico, la realizzazione dei propri programmi, il consolidamento della sua posizione politica, la rielezione etc. L’altra il trattamento economico, la stabilità della posizione e della funzione, il mantenimento di posizioni di potere e di prestigio etc.

Si determinano così situazioni di così detto trade-off nell’equilibrio tra gli interessi in gioco, il più grave dei quali è conseguenza del contrasto ideologico tra burocrate e Ministro che, anche se talvolta senza malizia, conduce l’azione amministrativa a contrastare e non a favorire l’indirizzo politico.

  1. Modello puramente teorico

Ad avviso di chi scrive, la sottovalutazione di questa conseguenza negativa deriva da un assioma errato e da un equivoco.

Quanto al primo, l’assioma vuole che sia l’interpretazione sia l’attuazione delle regole siano univoche e asettiche conducendo ad una asettica esecuzione dei propri compiti. Quindi, occorre dare più spazio al burocrate che oggettivizzerebbe la volontà del Parlamento e, applicando la interpretazione “giusta” delle regole così come attuando la gestione “giusta” di esse, non potrebbe non realizzare l’obbiettivo politico “giusto”.

Questo assioma lungi dall’essere, come dovrebbe, principio per sé evidente, non ha viceversa alcun riscontro con la realtà giuridica e gestionale. Innanzi tutto invocare una interpretazione univoca di una regola è un non senso. La regola si invera nel caso concreto e quindi la sua interpretazione ha sempre margini di opinabilità e di flessibilità.

In secondo luogo, e proprio per questi motivi, pochissime sono le norme che si prestano ad una univoca applicazione. Amministrare, infatti, vuol dire scegliere e qualunque scelta è discrezionale dipendente dalla realtà dei fatti. Non ovviamente arbitrio, ma nel senso che essa deve valutare e soppesare gli interessi in gioco al cui contemperamento la norma tende e modellare l’attuazione non in vista di una astratta procedura amministrativa o logica interpretativa, ma dell’effettivo raggiungimento di quell’equilibrio.

Da ciò deriva che il margine di autonomia del burocrate è amplissimo, e quel che è peggio, che non è sanzionabile né controllabile dal politico, i cui strumenti non sono né giuridici né gestionali, ma appunto politici, e alle cui rimostranze il burocrate può opporre sempre la interpretazione “giusta” che di fatto frustra l’indirizzo politico.

Cosicché, il modello così astrattamente e teoricamente concepito dall’art. 3 del d.l.vo citato, ha condotto allo squilibrio del sistema affetto da molteplici situazioni di trade-off tra il soddisfacimento dell’interesse politico del principale (e del cittadino) e quello del burocrate/agente.

Quanto al secondo, l’equivoco, esso si annida nell’attribuire all’azione amministrativa un carattere di asetticità, proprio quale conseguenza della presunta univocità della interpretazione e della attuazione. In altri termini, l’azione amministrativa non sarebbe altro che la esecuzione pedissequa e indifferente dell’indirizzo politico attraverso atti e comportamenti cui è estranea alcuna connotazione politica.

  1. Le ragioni dello spoil system

La realtà non è nel senso illustrato nei paragrafi precedenti. L’allocazione dei mezzi, l’esercizio della discrezionalità, le modalità dell’azione amministrativa che incidono sui tempi e sui risultati, costituiscono atti politici, non in senso giuridico, ma fattuale. Essi, infatti, traducono nella realtà l’indirizzo politico il quale, senza di essi, sarebbe un mero flatus vocis, un semplice auspicio o un disegno astratto.

Sicché gli atti e comportamenti della P. A. partecipano dell’azione politica, massimamente quelli posti in essere dai vertici dei singoli plessi amministrativi. Mentre, infatti, nei confronti dei burocrati di rango inferiore soccorre la potestà d’ordine del dirigente generale, nei confronti di quest’ultimo, come si è visto, non si riscontra un analogo potere del Ministro.

Da queste riflessioni è scaturita la introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento dello spoil system. Esso è stato, ed è, lo strumento principe per ridurre l’impatto di quella che a ben ragione si può considerare la creazione di un quarto potere dello Stato, eccedente e invadente, conseguente alle impostazioni teoriche criticate.

E’ sempre possibile contestare al dirigente durante il contratto la violazione delle direttive politiche e amministrative, ma ciò, evidentemente, avviene solo a cose fatte: troppo tardi per i cittadini. Occorre quindi agire in prevenzione ad evitare l’insorgere dei fenomeni negativi lamentati e la dissipazione di risorse.

Lo spoil system agisce, appunto, in prevenzione, garantendo la compatibilità e omogeneità di visione tra il Ministro e il Dirigente nella condivisione degli obbiettivi politici e di amministrazione. E’ una misura di riequilibrio delle posizioni squilibrate da una applicazione eccessiva del principio di separazione tra indirizzo politico e amministrazione di cui si è discorso.

  1. Lo spoil system   

Lo spoil system è stato introdotto dall’art. 19, comma 8 del d.l.vo 30 marzo 2001, n. 165, poi variamente modificato, che nel testo attuale prevede la cessazione automatica degli incarichi di alta dirigenza nella pubblica amministrazione passati 90 giorni dalla fiducia al nuovo esecutivo.

La norma si applica ai soli incarichi dirigenziali così detti apicali, vale a dire gli incarichi di Segretario Generale di ministeri o enti, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno a loro volta in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente.

Al momento della sua introduzione lo spoil system era conforme al mutamento dell’impianto politico generale del Paese e sua naturale conseguenza. Nel 1993 fu approvata la legge elettorale maggioritaria nota come Legge Mattarella o Mattarellum, la cui idea di base era di spingere il sistema politico al bipolarismo, obbligando i partiti a formare coalizioni per competere nei collegi uninominali, costituitesi quindi non dopo il responso proporzionale delle urne, ma prima di esso. Ma soprattutto, il cambio di paradigma di quel periodo fu rappresentato dal conseguenziale obbligo per le coalizioni di presentarsi ali elettori con precisi programmi di governo di coalizione. Il programma, quindi, è divenuto il nucleo e il contenuto di una sorta di “patto elettorale”, il cui mancato rispetto o la cui mancata realizzazione determina il fallimento del Governo stesso ed è prodromo di un ricambio politico. Ancora più stringente, dunque, si fa l’esigenza di monitorare, controllare e correggere l’attività amministrativa che di quel fondamentale “patto” è lo strumento principale, se non unico. Lo spoil system è appunto il meccanismo che tenta di garantire a priori e preventivamente l’adesione convinta di tutta la P. A. al programma di governo.

  1. Caratteristiche dello spoil system e aspetti costituzionali

Il comma 8 dell’art. 19 citato ha avuto vita travagliata. Soprattutto è stato falcidiato dalla Corte Costituzionale. In tutte le sue sentenze, la Corte ha confermato la validità in generale del sistema, ma anche ne ha precisati i limiti.

In breve, la Corte ritiene che sia legittimo il sistema di spoil system solo se applicato agli in carichi dirigenziali apicali (Segretari Generali, Capi Dipartimento) perché solo del loro supporto l’organo di governo si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico amministrativo.

Viceversa, il sistema diviene incostituzionale se applicato ai dirigenti non apicali, per la cui scelta l’ordinamento non attribuisce rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell’organo che nomina, poiché le loro funzioni sono esclusivamente di gestione, cioè di esecuzione dell’indirizzo politico e non di determinazione di questo.

In linea astratta e teorica le osservazioni della Corte sono condivisibili, ma non convince l’interpretazione della realtà effettuale odierna e quindi la loro applicazione nella fattispecie.

In sostanza lo spoil system sarebbe riservato a quelli incarichi “apicali” i cui compiti esulano dalla gestione per impingere nella collaborazione alla determinazione degli indirizzi politici e di amministrazione. La Corte sembra, cioè, ipotizzare che le figure apicali siano sostanzialmente dei “coadiutori del Ministro”, secondo una impostazione ottocentesca, quando appunto i Segretari Generali erano così chiamati e tutti gli altri funzionari direttivi, fino ai direttori generali, non erano che meri esecutori.

E’ una visione del tutto condivisibile sotto l’impero del sistema tradizionale, ma non scevra da perplessità alla luce dell’evoluzione del mutato rapporto tra Burocrazia e Ministro che abbiamo tratteggiato al § 4.

Non si valorizza sufficientemente il fatto che anche i Dirigenti Generali non apicali contribuiscono a determinare l’indirizzo politico essendo i responsabili dell’indirizzo generale dell’attività amministrativa e delle scelte generali e astratte  su cui modellano l’organizzazione e l’attività degli uffici da loro dipendenti, anche nella scelta di una determinata interpretazione e attuazione delle norme.

  1. Conclusioni

La distinzione tra poteri di indirizzo politico amministrativo e poteri di gestione rigidamente intesa sottopone il raggiungimento dell’obbiettivo politico e la sua attuazione concreta  al condizionamento del potere autonomo della Burocrazia, determinando così il paradosso di una responsabilità politica del Ministro o Presidente priva di strumenti per incidere realmente sull’” amministrare” e del tutto in balia dell’azzardo morale del burocrate, in assenza sostanziale di strumenti conoscitivi e coercitivi.

Occorre prendere atto, invece, che la sfera della partecipazione alla determinazione dell’indirizzo politico si è ampliata sottraendo molte figure alla mera esecuzione dell’indirizzo politico.

Conclusivamente, la realtà effettuale dei rapporti di forza all’interno della P. A. che trascende le costruzioni teoriche a tavolino proprie del razional costruttivismo, impone una riflessione nuova sulla estensione dello strumento.

Claudio Zucchelli
Presidente Aggiunto Onorario del Consiglio di Stato

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