La lezione dei crack bancari

Raffaele Fiume, Professore Ordinario di Economia Aziendale, Università Parthenope Napoli
Rosa Lombardi, Professore Ordinario di Economia Aziendale, Università di Roma La Sapienza

Il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) del 10 marzo scorso in California, seguito pochi giorni dopo dalla crisi della Credit Suisse ha suscitato timori e preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e non solo. Due crisi indipendenti l’una dall’altra, maturate in contesti differenti, ma con profili in qualche maniera coincidenti. In un recente articolo pubblicato da “The Washington Times”, le ipotesi del crack della Silicon sono snocciolate attraverso svariate cause o meglio risvegliate cause, titolate infatti “woke causes”. A partire dall’importanza attribuita alle politiche ambientali, sociali e di governance (ESG) e non a quelle finanziarie dell’istituzione, il pezzo richiama la cattiva gestione di SVB, intrecciandola con la critica della mancanza di supervisione e controllo interno ed esterno. Precisamente, SVB avrebbe investito in azioni e missioni di giustizia sociale e climatica tralasciando la gestione del rischio aziendale. Non era presente un risk officer. Vieppiù, viene osservato che le competenze dei membri del consiglio di amministrazione ricadevano prevalentemente in ambiti diversi da quello finanziario, con la presenza di membri che avrebbero altresì finanziato la campagna elettorale di Hillary Clinton, Nancy Pelosi e altri politici di area democratica.

In sostanza, cattiva gestione, sensibile alla politica ma non alla qualità dei risultati economici.

La Credit Suisse viene da una storia recente di risultati economici negativi; il capitale per oltre il 20% è in mani arabe. Non può sfuggire agli attenti osservatori che la crisi è coincisa temporalmente con il ritiro dalla governance del saudita Al Khudairy. In sintesi, in entrambi i casi, inefficacia di governance e intersezione con la politica. Le autorità europee si sono affrettate a rassicurare operatori economici e cittadini della solidità del sistema bancario europeo e della sua resilienza rispetto a queste crisi. C’è da esserne soddisfatti, perché questo stato di cose è la risultante di una normativa prudenziale europea più rigorosa di quella statunitense e quella svizzera e di una vigilanza più pressante, che si traduce sovente in banche più restie a fare credito (con impatti talora negativi sui singoli operatori economici), ma più solide (a tutela della massa di risparmiatori, investitori e imprenditori). Ma non ci si può accontentare. La lezione di Silicon Bank e Credit Suisse è scolpita nella pietra: le banche necessitano di governance di qualità e indipendenza dalla politica. Dimensioni lungo le quali il nostro sistema bancario ha ancora da crescere, come emerge anche dalle analisi di Bankitalia. E’ necessario che l’ambiente economico acquisisca e rafforzi questa consapevolezza, per evitare il ripetersi di episodi critici che abbiamo visto da vicino e che, quelli sì, possono avere grandi capacità di contagio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *