Il coraggio di un’idea di scuola

Francesco Magni
Ricercatore a tempo determinato di tipo B in pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Bergamo

Il dibattito nazionale sulla scuola, e in generale sulla grande emergenza educativa che attraversa il nostro tempo, risulta spesso sterile, limitandosi ad una polemica demagogica da “social media” di corto respiro. Di fronte al ripetersi di questo scenario purtroppo ricorrente, non è possibile che condividere quanto affermava già quasi un secolo fa il filosofo e matematico britannico Alfred North Whitehead nei suoi scritti riservati ai “fini dell’educazione”: «quando si consideri, in tutta la sua ampiezza e portata, l’importanza del problema dell’educazione della gioventù di una nazione, le vite spezzate, le speranze fallite, gli insuccessi nazionali che sono il risultato della frivola indifferenza con cui esso è trattato, è difficile frenare un moto di vivo sdegno in noi stessi»[1].

Di fronte ad uno scenario spesso sconfortante, si sarebbe tentati dal gettare la spugna e far prevalere un rassegnato cinismo. Per muoversi in direzione opposta, è necessaria una buona dose di tenacia e visione prospettica, in grado di rilanciare il dibattito in senso “alto” sul sistema di istruzione e formazione, rivendicandone la sua importanza e centralità della formazione delle giovani generazioni per il presente e il futuro di una società e una nazione, rimettendo in discussione alcuni paradigmi dati quasi per assodati da decenni e, al contempo, senza disdegnare possibili declinazioni didattiche e ordinamentali concrete ed operative.

La scuola al servizio della persona

È su queste traiettorie che si muove il libro di Giuseppe Valditara, La scuola del talenti (Piemme, 2024, pp. 184), che, non a caso, decide di partire dalla storia per recuperare in profondità alcune “note dominanti” e “rumori di sottofondo” costanti nel sistema d’istruzione italiano. Innanzitutto si offre una rilettura di quella scuola “elitaria” gentiliana, giusto a cento anni dalla celebre riforma, contraddistinta da una concezione piramidale del percorso formativo, con la superiorità del liceo classico e delle discipline umanistiche, la conseguente sottovalutazione di quelle scientifiche, fino alla svalutazione sociale della formazione tecnico-professionale. Un sistema che portava poi al “setacciamento” della classe dirigente del Paese. Un modello di scuola, scrive l’autore, che era evidentemente funzionale «a una società in cui la persona era posta al servizio delle superiori esigenze dello Stato e in cui la valorizzazione di ogni singolo talento non era l’obiettivo prioritario del sistema scolastico» (p. 17).

Si passa poi ad esaminare la scuola scaturita dal ’68 che, se ha avuto «il merito di scardinare il sistema elitario della scuola gentiliana (…) ponendo la questione di una scuola di massa» (p. 20), allo stesso tempo ha avuto il difetto di essere “rivoluzionario e non riformista”, sviluppandosi poi secondo derive ideologiche poi confluite in quel “facilismo educativo”, che l’autore affronta nel capitolo 5, carico dei falsi miti di quella stagione e ancora oggi ampiamente diffuso.

A questi due modelli di scuola l’autore contrappone innanzitutto quello della scuola scaturita dalla nostra Costituzione del 1948 fondata, con La Pira, sulla “anteriorità metafisica” della persona. Non più dunque la persona sottomessa ai bisogni e progetti dello Stato, ma lo Stato al servizio della persona. E così la scuola costituzionale è quella che mette al centro la persona dello studente, che si mette quindi «al servizio di ogni giovane per realizzarne al me­glio i talenti» (p. 22).

La scuola della valorizzazione dei talenti e del merito

È a partire da questa concezione antropologica, che riconosce le diverse intelligenze multiple di ognuno, da quelle più teoriche/riflessive, a quelle più pratiche volte ad attività manuali più concrete, che l’autore innesta la sua visione di scuola che ha nella valorizzazione dei talenti di ciascuna persona la pietra miliare. In questa prospettiva, compito della scuola è quello di «tirar fuori il meglio che ogni giovane è in grado di dare, valorizzando i talenti di ciascuno» (p. 43).

Da qui, dunque, un recupero del valore formativo del lavoro, non tanto o non solo per le sue positive ricadute in termini di opportunità occupazionali, quanto piuttosto per la possibilità di maturazione integrale dello studente, secondo le proprie attitudini, predisposizioni, interessi. In questa direzione, la parola “lavoro” viene infatti associata nel capitolo 3 alla parola “libertà”: l’esperienza concreta, così come lo studio delle singole discipline (dalla geografia alla matematica, dalla storia all’inglese) non viene visto come fine in se stesso, ma come mezzo in vista di un fine più grande, quello di poter maturare e poter vivere l’esistenza in maniera libera, critica, responsabile e consapevole nel complicato contesto contemporaneo. In altri termini, si tratta di riuscire a riconoscere “i nessi tra le cose” e, per dirla con la filosofa Hannah Arendt, di favorire così la crescita di persone che sanno «scegliere la propria compagnia fra gli uomini, le cose, i pensieri; nel presente come nel passato»[2].

È a questo livello che si innesca il tema – spesso dibattuto – del “merito”: lungi dal voler proporre una «operazione aristocratica, elitaria» (p. 39) e senza cadere in derive di stampo meritocratico, l’autore intende il merito come «il raggiungimento del meglio che ciascuno, con impegno e responsabilità, può dare» (p. 31). Una concezione, dunque, aperta e inclusiva, che non vuole lasciare indietro nessuno e, anzi, al contrario, mira alla massima maturazione dei talenti e delle abilità di ciascuno. Quella del merito è, allo stesso tempo, una scuola esigente, che da un lato deve saper valorizzare e orientare al meglio lo studente, ma che allo stesso tempo chiede «impegno, diligenza, perseveranza, responsabilità» (p. 40) in modo tale che «ognuno si impegni per dare il meglio di ciò che può in tutto ciò che fa» (p. 52).

Declinazioni didattiche e proposte di sistema

Da questo quadro di fondo derivano alcune proposte e declinazioni didattiche-ordinamentali su come immaginare, progettare e organizzare un sistema d’istruzione e formazione che sia davvero in grado di perseguire, nel contesto contemporaneo, le finalità sopra richiamate.

Ecco quindi l’introduzione del docente tutor per realizzare quella formazione personalizzata che tenga conto sempre di più «delle inclinazioni, delle potenzialità e delle problematicità di ogni studente, con lo scopo di valorizzare il meglio che ciascuno ha in sé» (p. 41), in un riconoscimento delle differenze della singola persona umana che diventano «un male solo laddove producano discriminazioni» (p. 42).

Si passa poi al tema fondamentale del contrasto alla dispersione scolastica esplicita (drop-out) ed implicita (scarse competenze raggiunte al termine del percorso formativo), con particolare attenzione alle aree del Mezzogiorno del Paese con il piano “Agenda Sud” (cap. 7) e alle aree delle periferie delle grandi metropoli (cap. 8) nell’obiettivo di “riunire l’Italia”, fornendo a tutti i giovani pari opportunità formative e diminuendo i divari dei livelli di apprendimento.

Decisivo in quest’ottica è avviare strategie educative volte ad un’effettiva integrazione degli studenti stranieri, che ha il suo primo passo nell’apprendimento linguistico, ma che non si esaurisce lì: infatti, sono necessarie «un insieme di politiche graduate in base alle singole situazioni, di volta in volta valutate dalla scuola accogliente» (p. 82). Anche la proposta di specifici gruppi classe o interclasse di accompagnamento in italiano ed eventualmente anche in matematica, che pur ha suscitato un vivace dibattito non sempre adeguatamente informato, è pensata proprio per raggiungere questa finalità: nel testo si chiarisce che tale misura deve essere temporanea, da verificare periodicamente per i necessari aggiustamenti, prevedendo anche azioni di supporto per tutta la famiglia dello studente, così come stimolando la creazione di reti e sinergie a livello socio-territoriale con le differenti realtà istituzionali e associative.

Il contrasto alle disparità di opportunità formative emerge anche nella prospettiva di coniugare “equità e bisogni” (cap. 11) non solo sul versante degli studenti, ma anche su quello dei docenti: in quest’ottica si mira a ristabilire autorevolezza e prestigio sociale degli insegnanti, che devono tornare ad essere figure centrali nella società, da un lato contrastando azioni di violenza e (cyber)bullismo nelle scuole, affermando ed educando ad una cultura del rispetto reciproco; dall’altro riconoscendo gli insegnanti come «autentici professionisti della conoscenza» (p. 109). In quest’ottica il volume rende conto di una prima, chiara e significativa inversione di rotta grazie al successo dell’ultimo rinnovo contrattuale, atteso da tempo, e che finalmente ha portato un aumento anche in termini di salario al personale della scuola. Per proseguire nel cammino intrapreso, si prefigura la possibilità di «fornire ai docenti occasioni di incremento della propria retribuzione con la possibilità di svolgere attività ulteriori che possono comportare una maggiore o più specifica formazione e qualificazione» (p. 133), così come quella di avviare forme di “welfare territoriale” che vadano incontro a determinate tipologie di spese come l’affitto o i trasporti, anche per affrontare il tema della differenza del costo della vita tra sud e nord del Paese, così come tra aree urbane e aree disagiate e di “frontiera”. Inoltre, si propone di rivedere la figura del docente di sostegno che dovrebbe essere non un punto di partenza, di “ingresso” nella carriera docente, quanto piuttosto un punto di arrivo, a cui giungere come «uno dei livelli massimi di specializzazione» (p. 103).

E ancora: la necessità per una rinnovata alleanza educativa scuola-famiglia, che sappia rinsaldare quella frattura ormai aggravatasi nel corso degli anni; così come il coinvolgimento del mondo dell’impresa in un nuovo patto per la scuola italiana, rompendo un vero e proprio tabù; la riforma dell’istruzione tecnica-professionale che, grazie alla sperimentazione “4+2”, mira ad avviare un «itinerario organico in continuità fra l’istruzione secondaria e quella terziaria» (p. 153) degli ITS Academy e delle università. Infine, la prospettiva di potenziamento delle materie Stem, che con le nuove linee guida mirano ad un approccio più concreto e meno astratto del loro insegnamento, senza dimenticare una riflessione circa l’impatto dell’intelligenza artificiale nelle classi italiane.

Come si vede i temi affrontati nel testo sono numerosi e diversificati, andando a toccare alcuni nodi nevralgici del sistema d’istruzione e formazione italiano. Ne emerge un mosaico dove le differenti tessere vanno a comporre un’idea di scuola che l’autore propone come discussione e ipotesi programmatica al pubblico.


[1] A.N. Whitehead, I fini dell’educazione e altri saggi, a cura di A. Granese, La Nuova Italia, Firenze 1992 [The Aims of Education and Other Essays, 1929], p. 66.

[2] H. Arendt, Tra passato e futuro, a cura di A. Dal Lago, trad. it. di T. Gargiulo, Garzanti, Milano 1991, p. 289.

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