Un paese concepito nella libertà: il significato del 4 di luglio

Luigi Marco Bassani, Ordinario di Storia delle Dottrine Politiche

Nelle prime due settimane di luglio si celebrano due commemorazioni che ci ricordano l’età delle Rivoluzioni, ormai vecchia di circa due secoli e mezzo. Mentre il 14 luglio è una ricorrenza ben conosciuta nel continente europeo e proposta, almeno dai francesi, come l’evento più importante dopo la creazione (nel quale l’assolutismo parlamentare sostituisce quello monarchico), gli europei sanno davvero poco o nulla del 4 di luglio, al di là del fatto che è la data di nascita del paese più potente del mondo, che da un secolo tiene in mano i destini dell’umanità.

Eppure il 4 di luglio – data di approvazione del vero e proprio certificato di nascita d’America, la Dichiarazione di Indipendenza, scritta da Thomas Jefferson – ha sempre avuto un significato che va oltre ben la storia degli Stati Uniti, assumendo una portata simbolica mondiale.

In quel preciso giorno nasceva per la prima volta una repubblica fondata sui diritti naturali e sul consenso dei governati. Mentre l’Europa viveva il canto del cigno delle monarchie assolute, le colonie americane sviluppavano un modello di autogoverno che avrebbe ispirato in vario modo i liberali dell’Ottocento.

La Dichiarazione afferma che “tutti gli uomini sono creati uguali” e che hanno diritti inalienabili: vita, libertà, ricerca della felicità. Questo ha fatto del 4 luglio un simbolo dei diritti umani universali, pur con le contraddizioni interne (è stato redatto da un proprietario di schiavi). L’indipendenza americana è stata interpretata anche come la prima rivoluzione anticolonialista: da qui la sua influenza sui movimenti di decolonizzazione del XIX e XX secolo, soprattutto in America Latina, Asia e Africa.

Il significato generale o solo americano del 4 di luglio era stato oggetto di controversia fra gli stessi padri fondatori. Nel 1826, durante le celebrazioni per il cinquantenario della Dichiarazione, John Adams e Thomas Jefferson, il secondo e il terzo presidente, nonché forse i più illustri padri fondatori ancora in vita, furono invitati dal Comitato promotore della manifestazione a pronunciare un breve discorso per la ricorrenza. Le precarie condizioni di salute non consentirono a nessuno dei due di partecipare (e infatti sarebbero spirati entrambi proprio quel giorno, il 4 di luglio), ma l’organizzatore dell’evento, il sindaco della città di Washington, D.C., Roger Weightman, insistette per aver comunque da loro qualche pensiero sul significato di quella ricorrenza per gli americani.

John Adams scrisse una sola frase: “Indipendenza per sempre!”. “Dobbiamo aggiungere qualcosa?”, gli chiesero i componenti del comitato per i festeggiamenti un po’ perplessi. “Non una parola”, rispose Adams.

Al contrario, Jefferson stese le ultime righe della sua lunghissima stagione epistolare, scrivendo una lettera nella quale è racchiuso, insieme al suo giudizio sulla Rivoluzione, il suo testamento politico. Il grande virginiano si compiaceva del fatto che oggi “i nostri concittadini continuino ad approvare le scelte che noi abbiamo compiuto”, cosa che per lui non era certo scontata, giacché ogni generazione aveva, a suo avviso il diritto di ridisegnare interamente la propria comunità politica (“le mani dei morti non possono tracciare il cammino dei vivi”). Però Jefferson riteneva che la decisione presa dalla sua generazione avesse rappresentato un faro di libertà anche per il resto del pianeta. A suo avviso, la Dichiarazione avrebbe acceso il fuoco della libertà ovunque nel mondo, convincendo al fine “gli uomini a spezzare le catene che l’ignoranza e la superstizione li hanno persuasi a mettere, e ad appropriarsi della benedizione e della sicurezza prodotti dall’autogoverno. Gli occhi di chiunque si sono aperti, o si stanno aprendo, ai diritti dell’uomo. La generale diffusione dei lumi della scienza ha già posto per grazia di Dio dinanzi ad ognuno l’incontrovertibile verità che la maggioranza dell’umanità non è nata con una sella sulla schiena e che pochi privilegiati non hanno visto la luce già dotati di stivali, di speroni e del diritto di cavalcare i propri simili. Questi sono i motivi che possono dare speranza agli altri popoli. Per quanto riguarda noi stessi, che l’annuale ricorrenza di questo giorno rinfreschi il ricordo di questi diritti e rinnovi una devozione sempre viva nei loro confronti”.

Questo messaggio forte di emancipazione per tutta l’umanità rappresenta anche l’interpretazione autentica della Dichiarazione da parte del suo autore. La protezione dei diritti inalienabili degli individui – si evince incontrovertibilmente dal testo – è l’unica possibile funzione del governo, che conseguentemente risulta ridotto ai “minimi filosofici”, ossia a un semplice contratto fra cittadini e forze dell’ordine. Ogni infrazione e sconfinamento da parte dei “poliziotti” che contravvenga alla loro funzione di protettori dei diritti naturali di ogni individuo comporta la possibilità del ricorso al diritto alla rivoluzione, il primo e più inalienabile dei diritti prepolitici.

E allora il 4 di luglio si celebra la nascita del primo paese al mondo concepito nella libertà, nel quale certamente esisteva ancora la schiavitù, ma in cui i pronipoti degli schiavi nel corso del tempo sarebbero diventati tanto liberi quanto i discendenti dei coloni che sbarcarono a Plymouth Rock nel 1620.

Il destino imperiale degli Stati Uniti, che deriva assai più dall’harakiri dell’Europa, che non dalle mire imperialiste di Washington, non di rado però offusca il vero significato libertario del 4 di luglio. In effetti nel corso del Novecento, con l’ascesa degli Stati Uniti a superpotenza, questa data ha assunto anche un significato geopolitico: l’affermazione del modello americano di libertà e democrazia, spesso usato per giustificare “moralmente” la leadership globale statunitense. In estrema sintesi allora oggi si celebra la nascita del più grande paese del mondo e ci si augura che nessuno mai dimentichi che la libertà è stata la sua unica levatrice. 

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